“Girl power” potrebbe essere il titolo di questa trasferta di fine estate in Trentino tutta al femminile: qualità (Giorgia), acquisti (Elisabetta), marketing (la sottoscritta) e l’immancabile fotografa (Beatrice), tutte in viaggio, destinazione Passo del Vezzena, per incontrare una “guerriera”, Marisa Corradi, presidente del caseificio dal 2009.
Con l’inconfondibile talento femminile per l’orientamento “scegliamo” - seguendo il navigatore senza aver minimamente guardato prima la mappa - la strada più tortuosa per arrivare a destinazione: ci ritroviamo su una salita strettissima, a strapiombo sul lago di Caldonazzo, con gallerie scavate a vivo nella roccia. Sono terrorizzata, ridiamo per scaricare la tensione. Il panorama però è mozzafiato.
Grazie a questa nostra prodezza (o incoscienza) ci conquistiamo da subito la fiducia della presidente e di tutte le persone del caseificio: l’antica salita del Menador - ci racconta Giorgio Gosetti, responsabile commerciale - detta anche strada del Kayserjägerweg, è un’antica strada austriaca adibita a uso militare durante la guerra del 1915-1918. Tante persone del luogo la evitano, ci dice, perchè è pericolosa - noi giusto per la cronaca, sempre per sbaglio, l’abbiamo fatta anche al ritorno.
Iniziamo la visita del caseificio assieme a Giorgio: Folgaria, Lavarone, Luserna, si trovano sull’Alpe Cimbra, popolata intorno al 1500 da una popolazione di contadini bavaresi emigrati, che tuttora costituiscono una minoranza etnica per i 3/4 di lingua tedesca, i Cimbri appunto. Anche il Caseificio degli Altipiani e del Vezzena, casello TN 4210, ha una storia lunga 150 anni: è stato fondato nel 1864.
Oggi lavora 40-50 quintali latte al giorno e ha 10 dipendenti tra cui, da due anni, anche un ragazzo del Mali e uno della Nigeria. Due migranti, che quando sono arrivati non sapevano una parola di italiano. Sono stati assunti come apprendisti e sono stati inseriti in un progetto della biblioteca comunale per imparare l’italiano. Oggi giocano con la squadra di calcio del paese e a Lavarone hanno trovato un lavoro e una casa.
Il latte viene raccolto da 13 conferenti, che allevano in media 30-50 capi, prevalentemente di razza Bruna Italiana o Pezzata Rossa. Qualcuno ha ancora qualche Rendena o qualche Pezzata Nera: uno le “Nere” ce le ha nel cuore, ci dice Marisa, che ci ha raggiunto nel frattempo, lei stessa proviene da una famiglia di allevatori.
E proprio l’allevamento, l’alimentazione delle “ragazze” come le chiama lei, è il vero punto di partenza per ottenere un buon formaggio. D’estate mangiano in prevalenza erba, d’inverno solo fieno di primo e secondo taglio raccolto in zona, con la sola integrazione di cereali no OGM (in pratica la stessa alimentazione prevista dal disciplinare del Parmigiano Reggiano DOP).
Per incentivare l’attenzione all’alimentazione, l’igiene e la cura degli animali, il latte viene pagato agli allevatori in base alla qualità, definita in termini di quantità di grasso e k-caseina (una volta era la quantità complessiva di proteina), assenza di cellule somatiche e carica batterica bassa. “L’obiettivo è il benessere e la longevità degli animali: le nostre vacche restano in produzione per 12-13 anni e a “fine vita” vanno al macello”. Ce lo dice con gli occhi lucidi, non è solo un obiettivo economico, il legame con la terra e gli animali si percepisce nettamente.
Entriamo nel cuore del caseificio, il regno di Ivan, il casaro. L’esperienza di Ivan è intrecciata a quella di Marisa: entrano più o meno assieme in caseificio, Marisa nel 2009, Ivan nel 2010. Assieme affrontano i lavori di ristrutturazione, recuperando un po’ alla volta prima i locali di produzione, poi la stagionatura e infine il negozio. Una storia con alti e bassi, come tutte le storie - Ivan qualche anno fa se n’era andato, ma poi è tornato - ma fatta soprattutto di rispetto e di stima reciproca, si vede.
Riusciamo ad assistere a una parte della lavorazione del Vezzena.
Il latte viene raccolto negli alpeggi intorno al caseificio: Passo Vezzena, Folgaria, Luserna e portato in caseificio. Il latte della sera, parzialmente scremato, si unisce alla munta del mattino. “Una volta il burro valeva tre volte il formaggio, per questo il latte veniva scremato - aggiunge Giorgio. - Lavoriamo esclusivamente a latte crudo, senza fermenti. L’unica scelta possibile per salvaguardare l’identità di questo formaggio e il legame con il territorio e il nostro caseificio”. Il latte viene riscaldato lentamente, aggiungendo il latteinnesto e poi, a 33-35°C, il caglio: la coagulazione avviene in 20-25 minuti. Quindi, con la “lira”, si rompe il coagulo a chicco di mais, si cuoce lentamente a 45-48°C e si lascia depositare la massa sul fondo. La cagliata viene estratta in un unico blocco (in una caldaia da 1200 litri di latte si ottengono circa 120 kg di cagliata), che viene poi tagliato in porzioni utili per ottenere una forma. I blocchi, posti nelle fascere, sono sottoposti a pressatura. Le forme vengono quindi salate in salamoia e infine stagionate su assi di abete, dove, una volta al mese, sono pulite e trattate con olio di lino.
Entriamo nella cella di stagionatura, dove le forme vengono curate per i primi mesi prima di essere trasferite in un magazzino di stagionatura a Ponte Maso, fino al raggiungimento dei 12 mesi. Nel caveau della Presidente però - abbiamo scoperto in seguito - ci sono alcune forme di Vezzena Stravecchio, che raggiungono anche i 4 anni di stagionatura.
Lasciamo il caseificio per visitare l’azienda agricola “Soto al Croz”, di proprietà della famiglia di Marisa. Bellissime le balle di fieno che si incontrano per strada, trasformate in animali e personaggi che ci accompagnano fino alla stalla. Pazzesco il profumo del fienile, dove il fieno, essiccato a balloni, viene stoccato per l’inverno con un’umidità controllata, che non deve superare il 10%, a garanzia di qualità e tutela della salute delle vacche. Molto bella anche la stalla, le mucche hanno perfino una spazzola dove possono andare a massaggiarsi. Ma soprattutto l’odore poco invadente ci conferma che non vengono utilizzati insilati.
“Alla base di tutto c’è la produzione di fieno, che deve essere pulito e senza clostridi. Non bisogna poi dimenticare che el lat l’è fiol de na vaca: basta un temporale o un tipo di fieno che non le piace perché una vacca faccia meno latte, le “ragazze” sono sensibili. Da noi i contadini preferiscono allevare, non comprare le vacche - ci dice Marisa con orgoglio - e per rimanere Soto Al Croz bisogna nascere femmina...”
Non avevamo dubbi!!!
Pranziamo sulla Piana del Vezzena, uno spettacolo. Lasciamo la macchina nel piazzale, dove a controllarla c’è Lucy, una mucca che si diletta a passeggiare nel parcheggio. Ultimo appuntamento, la visita all’Alpeggio Millegrobbe Di Sopra, a Lavarone: 160 ettari di pascolo a 1.400 metri di altitudine. Ci accompagna Gino, l’allevatore, che fino a 10 anni fa faceva anche il casaro e produceva il formaggio direttamente in malga. Oggi tutto il latte viene conferito al Caseificio degli Altipiani e del Vezzena. “Abbiamo circa 100 capi in lattazione in alpeggio, prevalentemente di razza Pezzata Nera. Troppo lavoro per una persona sola, soprattutto quando gli anni avanzano...”. Le vacche vivono sempre all’aperto, in un territorio vastissimo, senza recinzioni, rientrano in stalla da sole, solo per la mungitura. E chi arriva tardi, salta il turno.
Rientriamo in ufficio ripensando alla citazione di W. Blake: “Quando uomini e montagne si incontrano, grandi cose accadono”...
Martina Iseppon
Responsabile Marketing