Lasciato il mare del Salento abbiamo raggiunto i trulli della Valle d’Itria per ritrovare i nostri amici del Salumificio Santoro. Siamo a Cisternino, in una piccola contrada tra le colline pugliesi tempestate di ulivi e dai tipici tetti appuntiti.
Ci danno il benvenuto Giuseppe e Piero, i due pilastri dell’azienda, e ricordando qualche aneddoto sul primo incontro di diversi anni fa con Gino Magro, entriamo nello stabilimento. Qui Angela e Micaela, figlie di Giuseppe, e Nico, il figlio di Piero ci accolgono con il solito calore pugliese a cui ci siamo presto abituati durante questo viaggio.
Indossati copri scarpe, camice e cuffietta iniziamo la visita nelle sale di lavorazione dell’azienda, per conoscere da vicino gli aspetti caratteristici della produzione del Capocollo di Martina Franca. Giuseppe si mette subito al lavoro per farci capire l’importanza delle diverse fasi della lavorazione.
La carne, proveniente dal taglio del collo di suini locali, viene salata a secco con sale marino delle saline pugliesi di Margherita di Savoia e pepe nero, e poi lasciata riposare. Durante le due settimane di riposo la carne viene rigirata quattro volte, per permettere alla salatura di penetrare alla perfezione.
Successivamente viene lasciata marinare per alcune ore in immersione nel vin cotto, il mosto cotto di Verdeca, un vitigno bianco autoctono della Valle d’Itria, poi delicatamente speziata e insaccata. Nulla di automatico, solo le mani sapienti di Giuseppe, Piero e dei ragazzi che lavorano con loro.
Non avendo un insaccamento meccanico Giuseppe ci fa vedere come la carne debba essere massaggiata manualmente per dare la giusta forma al salume. Il capocollo viene quindi insaccato in budello naturale, anch’esso precedentemente immerso nel vin cotto, e legato a mano per essere appeso.
Impariamo che il vero Capocollo di Martina Franca può essere legato solo a un’estremità, perciò per assicurare che le carni mantengano la loro compattezza e per far sì che le parti grasse e magre non si dividano, viene “vestito” prima con una calza e poi con una rete. Infine un ultimo massaggio permette di far uscire le bolle d’aria formatesi con la lavorazione e di dare ulteriore forma al pezzo.
I capocolli vengono quindi affumicati per due giorni con legno di Fragno, una quercia diffusa nella zona. Giuseppe e Piero ci hanno permesso di affacciarci alla cella, e anche se in quel momento non era in funzione, il profumo intenso e inebriante del fumo ci ha subito travolti.
Una volta asciutti i capocolli vengono stagionati per almeno 90 giorni nelle cantine ad aerazione naturale, dove i venti dal mare Adriatico e dallo Ionio completano il lavoro. A fine stagionatura il Capocollo di Martina Franca svela tutti i suoi aromi caratteristici di tostato, spezie e nocciole, con un delicato sentore di fumo e una leggera nota vinosa.
I padroni di casa sapevano che la visione e il profumo di tutti quei capocolli appesi in stagionatura ci avrebbe fatto venire l’acquolina, così alla fine della visita abbiamo pranzato tutti assieme con il Capocollo di Martina Franca e gli indimenticabili fritti della mamma di Giuseppe e di sua moglie Piera.
Un’ultima cosa che abbiamo assaggiato e vi suggeriamo di provare: i fiori di zucchina fritti, ripieni con Capocollo e ricotta sono una vera bontà!
Giulia Bassetto
Marketing manager