Una stagionatura fatta a quasi mille metri d’altitudine, sfruttando tecnologie d’avanguardia che consentono ai prosciutti di respirare la magica aria di montagna, aggiustando però la temperatura e l’umidità in base alle esigenze delle varie fasi. E’ questo uno dei principali segreti della bontà dei prodotti dell’azienda Poggio San Giorgio, che dal piccolo borgo di Agriano, in mezzo a prati e natura, difende l’antichissima tradizione di Norcia della lavorazione e della conservazione del maiale.
Siamo sull’altipiano che divide Cascia da Norcia: qui le alte vette appenniniche evitano l’afflusso dell’aria umida dal mare, creando condizioni perfette per la produzione di prosciutti e insaccati di altissima qualità e dalle peculiarità uniche, tra cui il celeberrimo prosciutto di Norcia, marchio IGP dal 1998.
Ne abbiamo parlato con Alessandro Perticoni, che dal 2004 porta avanti l’azienda fondata dal padre Daniele a metà degli anni settanta: Poggio San Giorgio è uno dei dieci produttori del consorzio del prosciutto di Norcia IGP e dall’attento racconto di Alessandro di tutte le fasi di lavorazione del prosciutto, dalla coscia al prodotto finito, si capisce perché il nome norcino abbia avuto origine proprio da quelle parti.
A Poggio San Giorgio salatura e sugnatura, ci dice Alessandro, sono fatte a mano e la tecnologia è d’aiuto nel portare avanti la tradizione: la stagionatura se ne avvale per sfruttare al meglio le straordinarie condizioni climatiche offerte dall’ambiente circostante.
Alessandro, come e quando è nata l’azienda Poggio San Giorgio?
Siamo nati nel ’75. L’azienda è stata inizialmente fondata ad Assisi come impresa di famiglia da mio padre Daniele, che è partito commercializzando prosciutti. Negli anni ‘80 ha iniziato ad acquistare materia prima fresca che veniva fatta stagionare in conto lavorazione e si è specializzato nella stagionatura, fino a riuscire ad acquistare, verso la fine degli anni novanta, lo stabilimento di Agriano, dove operiamo oggi. Io avevo finito di studiare e tra il 2000 e il 2004 l’abbiamo rimesso a posto assieme e abbiamo avviato la produzione, smettendo di fare lavorazione per conto terzi e iniziando a farci i prosciutti autonomamente.
Perché la scelta di trasferirvi con i laboratori da Assisi a Agriano?
La nostra residenza è ad Assisi, ma mio padre e mia madre si sono conosciuti e fidanzati qui a Norcia, perciò sono sempre stati legati affettivamente a questa zona. Mio padre aveva iniziato la sua attività ad Assisi, ma accolse con piacere la possibilità di rilevare uno stabilimento ad Agriano, anche perché nel frattempo, erano gli anni ’90, fu riconosciuta la certificazione IGP del prosciutto della zona di Norcia. Perciò facemmo un investimento per rendere operativo il prosciuttificio e spostammo il lavoro in questo territorio.
Com’è strutturata l’azienda oggi e quante cosce di maiale lavorate in media ogni settimana?
Oggi abbiamo una decina di dipendenti, di cui la maggior parte è impiegata in produzione, e lavoriamo circa mille prosciutti a settimana. Attualmente stiamo ampliando il magazzino per riuscire ad ospitare stagionature più lunghe.
Per quale ragione avete deciso di stagionare di più i vostri prosciutti?
Anche se il disciplinare impone unicamente un parametro minimo di 12 mesi le esigenze di mercato sono cambiate e il consumatore desidera un prodotto sempre più dolce. La dolcezza è data proprio dalla stagionatura: oggi, a differenza del passato, non è strano vendere prosciutti da 18-20 mesi.
Dove acquistate le carni che poi lavorate?
Le carni sono tutte italiane. Per certi prodotti, come il Peduccio, le acquistiamo direttamente qui in Umbria. Per gli altri invece arrivano principalmente dall’alta Italia, spesso dalle stesse zone di produzione del Parma e del San Daniele: Parma, Reggio Emilia, Mantova, Cremona. Scegliamo i fornitori facendo degli attenti controlli di qualità sia in partenza che per tutti i carichi che c’arrivano.
Quali sono le caratteristiche del prosciutto di Norcia?
Il prosciutto di Norcia si distingue da un Parma o da un San Daniele perché oltre al sale è aromatizzato anche con aglio e pepe. Per altri insaccati la tradizione umbra richiede anche del vino, che invece non è previsto nel disciplinare del prosciutto di Norcia. La ricetta storica prescrive di pestare l’aglio nel mortaio insieme al vino, aggiungendo poi il sale.
Qual è il primo passo per un prodotto di qualità?
La prima fase e la più importante è il ricevimento della carne e il controllo qualità. Quando riceviamo le carni facciamo controlli sulla temperatura, visivi sull’aspetto, e sul Ph, che è un fattore importantissimo per la stagionatura: dev’essere compreso tra 5,7 e 5,9. Visivamente la coscia non dev’essere né troppo grassa né troppo magra, presentarsi uniforme e con la cotenna “giusta”, senza venature e senza ematomi.
E poi?
Passato quest’esame il prodotto viene rifilato, per dargli il classico aspetto “a pera” del prosciutto di Norcia: lo scoroniamo abbondantemente, con una sgambatura della cotenna più pronunciata rispetto a quella di un San Daniele o un Parma. Ciò gli fa perdere più facilmente l’umidità, conferendogli un aspetto più asciutto. Quindi si passa alla prima salatura, con una miscela di sale, aglio e pepe. Dopo sei giorni è la volta della seconda salatura: si toglie il sale messo sei giorni prima e si utilizza stavolta solo sale bianco, senza aromi, per ottenere un gusto bilanciato che venga esaltato dalla stagionatura.
Come si prepara il prosciutto alla stagionatura?
Attraverso la fase di riposo: al prosciutto si toglie il sale “soffiandolo via” e viene appeso in una cella fredda dove sta per circa 90 giorni. Questo procedimento fa sì che il sale, che nelle prime fasi di salatura è penetrato solo per pochi centimetri, si possa distribuire uniformemente all’interno di tutta la coscia. Poi il prosciutto viene lavato per togliere i residui di sale rimasti, asciugato e messo in una cella che in 36-48 ore elimina ulteriori tracce d’acqua. Quindi si può passare alla stagionatura.
Come avviene la stagionatura e perché è importante?
Nel corso della stagionatura il prosciutto acquista il suo sapore unico: per questo è importante. La prima fase dura tre mesi, quindi dal 170° al 190° giorno il prosciutto viene sugnato: la parte magra viene ricoperta con uno strato di grasso, che serve ad ammorbidirla esternamente e consentire all’umidità residua di fuoriuscire. Quindi c’è l’ultima fase, che dura almeno sei mesi: il prosciutto sta in cella a una temperatura dai 17 ai 19 gradi e un’umidità del 70-75%. Le nostre cosce respirano aria di montagna, perché abbiamo un sistema che preleva l’aria dall’esterno, la regola in temperatura e umidità, e la immette nelle celle. Al dodicesimo mese il prosciutto viene controllato dagli ispettori del Consorzio e se idoneo timbrato con il marchio a fuoco IGP. Quindi si può continuare la stagionatura fino a 16-18 o addirittura 20 mesi, in base al prodotto che si ha: le lunghe stagionature sono adatte alle cosce di dimensioni maggiori e con una maggiore quantità di grasso.
Quali abbinamenti consigliereste?
Un abbinamento classico e di stagione è il melone, uno più particolare ma sempre gradevole è il fico. Per il classico abbinamento col pane consiglio quello “sciapo”, senza sale come da tradizione umbra, o la “torta al testo”, anch’essa tradizionale: una sorta di piadina cotta su un disco di ghisa e fatta con farina, acqua e lievito, senza sale.
E come vini?
In Umbria il prosciutto di solito si accompagna col vino bianco. C’è chi preferisce un bianco frizzante, e allora sono perfetti i prosecchi della zona di Conegliano, chi un bianco secco, per cui consiglierei un vitigno autoctono come il Ghechetto.
Giulia Basso
Direttore di Selezione di Sapori