97, 600, 25, 42, 5, 2...
Tranquilli, non avete appena letto i numeri vincenti di una lotteria, bensì alcune cifre significative relative al panorama olivicolo italiano. Se siete curiosi di saperne di più, eccovi accontentati. La penisola italiana si trova non solo nel cuore del bacino mediterraneo, ma anche al centro di una zona dove vi è il 97% di tutte le cultivar di olive conosciute. Pensate che solo in Italia ci sono circa 600 cultivar diverse e rappresentano il 25% della biodiversità mondiale, 42 (e dico quarantadue!) gli oli DOP e mi rendo conto di quanto ci sia ancora da scoprire. Questa estrema ricchezza e diversità è prevalentemente legata a due fattori: terreno e clima, così diversi a seconda delle latitudini lungo le quali l’Italia si sviluppa. 2 i principali tipi di utilizzo per un’oliva: da tavola (su cui ci concentreremo in questa sede) e da olio, mentre sono pochi i casi di doppio utilizzo.
Scendiamo allora nei particolari e compiamo un percorso immaginario che ci possa condurre alla scoperta di 5 cultivar e terroir unici.
Iniziamo dalla Liguria e dalla ben nota Oliva Taggiasca, un’oliva di piccolo calibro, che ad invaiatura (grado di maturazione dell’oliva) quasi completa assume dei colori bruno violacei. Il sapore è delicato, leggere le note erbacee e di carciofo; figlia di un clima abbastanza mite per tutto l’anno questa oliva non ha quasi mai profili aromatici aggressivi. E’ sicuramente l’oliva più conosciuta del settentrione.
Scendendo lungo la costa tirrenica ci dirigiamo verso Gaeta, dove troviamo l’Oliva Nera Itrana (più comunemente nota come Oliva di Gaeta, da poco riconosciuta da una DOP - ma il produttore con cui lavoriamo noi, Cosmo Di Russo, ha scelto di non far parte del consorzio), sin dal 1400 esportata in tutto il mondo grazie alla florida attività del porto della città omonima. Il colore della drupa (oliva) a maturazione completa è rosso violaceo, la polpa è soda e il sapore è contraddistinto da note fruttate intense e mediamente vegetali.
Rimanendo quasi alla stessa latitudine ci imbattiamo nel territorio asciutto e arido che circonda la città di Cerignola, luogo di produzione della nota oliva gigante, la Bella di Cerignola. Tipologia di oliva arrivata dalla Spagna durante il periodo Aragonese ha trovato in questo luogo caldo, con inverni molto contenuti, il clima ideale per crescere e sviluppare le dimensioni che tutti conosciamo, arrivando ad un peso di circa 6/7 grammi al pezzo. La polpa è soda e lucida, di un colore verde quasi brillante (si raccolgono molto presto, tra settembre e inizio ottobre), si stacca difficilmente dal nocciolo. Il sapore è assolutamente dolce, persistente, con debolissime sensazioni erbacee e leggermente astringenti.
Prima di terminare il nostro tour in Salento sostiamo in Basilicata, nei pressi di Matera, per conoscere più da vicino l’oliva Majatica, anche nota come Oliva di Ferrandina. Ottima anche come oliva da olio, nel nostro caso invece la troviamo nella versione salata a secco e infornata, baluardo di una tradizione antica almeno 400 anni, ma sfortunatamente in declino poichè la quasi totalità delle olive si utilizzano per l’olio. Presidio Slow Food da qualche anno, porta con sè le caratteristiche di un prodotto rustico, sapido, ma di interessante utilizzo come aperitivo o in abbinamento a cibi dalle note agrumate.
La quinta tappa vede protagonista il Salento, in Puglia. In questo contesto a tratti arido, scarsamente piovoso, crescono gli uliveti di Olive Celline, piccoli frutti dalla polpa soda, dalla duplice attitudine.
Il sapore è grintoso, amarotico, persistente, del resto cosa ci dovremmo aspettare da un territorio le cui estati sono torride?
Ora la traversata del mar Egeo risulterebbe comodissima, le sponde del Peloponneso offrono nei dintorni di Kalamata e Sparta l’habitat ideale per la crescita della famosa oliva nera dall’estremità prominente, ma questa sarebbe un’altra storia.. per ora ci fermiamo in Italia.
Alessandro De Conto
Responsabile Estero