La gestione del campo orientata all’eccellenza, la lavorazione da fresco e la coltivazione intesa come cultura: questa è la filiera delle verdure in conserva come piace a noi!
Sono state tra le protagoniste della spesa media degli scorsi due mesi, principalmente per la ragione stessa della loro natura, ovvero la lunga conservabilità.
Perfette per essere stoccate nelle dispense a lungo e fronteggiare lunghi periodi di clausura, le conserve sono nate anticamente per due motivi tra loro connessi: far fronte alla deperibilità degli alimenti e garantirsi una riserva di cibo durante le stagioni fredde.
Nell’impossibilità di affrontare tutto lo scibile del mondo delle conserve, ci concentreremo qui sul mondo delle verdure raccontando le diverse variabili in gioco lungo la filiera e insistendo sui punti di forza delle aziende che abbiamo selezionato negli anni per questo segmento.
Ma facciamo un passo indietro, anzi forse due, e cominciamo dal principio della filiera: il campo, ovvero la terra.
Matrice essenziale per una produzione qualitativamente elevata, la terra a volte viene bistrattata al fine di un raccolto quantitativamente elevato
Come? Coltivando intensamente, applicando una lotta agli infestanti senza ritegno nell’utilizzo di prodotti chimici, o ancora concimando senza rispetto per il ciclo naturale e colturale della pianta.
Una visione di corto periodo che pregiudica la bontà del risultato finale e il rispetto del territorio (e del consumatore) a favore di un raccolto sicuro e abbondante.
Dal canto nostro in questi ultimi anni abbiamo cercato di privilegiare, nella nostra scelta, chi già nel campo dimostrava di guardare all’eccellenza piuttosto che all’abbondanza, cito la Soc. Agr. Trentin (alias I Contadini) in Salento ad esempio, che contrasta gli infestanti con una lotta integrata, somma di rotazione colturale, azione di insetti antagonisti e scelta di piante forti.
O ancora effettua una concimazione organica utilizzando elementi naturali e irrorando i campi efficientando le risorse idriche
E certamente poi dà continuità a una filiera eccellente anche nei passaggi successivi che tra poco vedremo.
Perché la filiera, nel loro caso, è tutta inclusa nell’azienda agricola, dal campo al prodotto finito.
Molto simile, anche se caratterizzata da una struttura organizzativa di carattere cooperativo, è la filiera del San Marzano Dop seguita da Dani Coop (Gustarosso).
L’azienda segue tutto il processo produttivo del pomodoro partendo dai semi, dalla fornitura delle piantine ai soci produttori e assicurando agli stessi l’assistenza tecnica agronomica durante la fase di crescita fino alla raccolta.
Il San Marzano è ancora oggi coltivato, da disciplinare, in verticale, anche se questo metodo impone la raccolta manuale del prodotto
Coltivare verso l’alto significa far crescere la pianta su 3 o 4 livelli di altezza, i grappoli di pomodori in questo modo ricadono verso il basso, non toccando mai il terreno e restando più facilmente integri.
Nelle due aziende descritte sopra, le verdure lavorate fresche subito dopo il raccolto, vengono lavate e avviate direttamente alla produzione del prodotto finito.
Questo rappresenta il grande spartiacque tra un prodotto industriale e un prodotto di filiera che potremmo definire artigianale senza alcun dubbio.
Infatti la grande domanda che ci dobbiamo porre quando apriamo un vasetto di verdure in conserva è: saranno state lavorate dal fresco o da un prodotto in salamoia?
Produrre un antipasto da una verdura in salamoia significa acquistare da terzi una verdura già pre-conservata.
Scelta legittima, che tuttavia, a nostro avviso pregiudica il risultato organolettico del prodotto finito.
Scelta che molto spesso mette al centro dinamiche di controllo del costo della materia prima e non pone molta attenzione verso l’origine del prodotto.
Vi invito pertanto ad assaggiare a confronto un carciofino sottolio industriale e un carciofino de I Contadini, per accorgervi in prima persona delle diverse consistenze (cedevole il primo, croccante il secondo) e dell’intensità del sapore (debole il primo, vivo e persistente il secondo).
La stessa prova la possiamo fare con qualsiasi altro sottolio, dal pomodoro secco al peperone, dalla melanzana alle zucchine.
Inoltre ci piace lavorare con piccole aziende agricole, come quella di Marco Maxia a Selargius in Sardegna, perché si adoperano per far rivivere piante e colture locali, ridandogli vita, come il Cappero Selargino appunto.
Se oggi troviamo il cappero selargino sulle nostre tavole, lo dobbiamo soprattutto a Marco e alla sua azione di recupero di una pianta in via d’estinzione fino ai primi anni 2000.
Mi raccontava proprio in questi giorni che in 20 anni di lavoro sono riusciti a recuperare il 95% dei campi incolti del comune, un grande risultato!
Identità come questa, radicate sul territorio, segno vivo della capacità di un professionista di dare anima a ciò che produce, ci interessano da sempre.
Non sono solo storie di coltura, ma anche e soprattutto di cultura.
Alessandro De Conto
Responsabile Estero