Ci siamo mai chiesti da dove “viene” un prodotto? Un approfondimento per entrare nelle dinamiche dei modelli di filiera dei prosciutti cotti
Penso a filiera e mi viene in mente il concetto di percorso, di storia, di back-ground.
Conoscere la filiera permette di valutare in modo più completo un prodotto, prender coscienza del fatto che la qualità non è determinata soltanto da un’esperienza organolettica positiva, ma anche e soprattutto da un sistema di scelte produttive a monte orientate al buono.
In quest’ottica vi proporremo nel corso dell’anno una rubrica dedicata a sei filiere, cominciando dai Prosciutti Cotti e Arrosti di carne suina.
Il mondo delle produzioni di salumi poggia fondamentalmente su tre modelli: globale, nazionale e locale. Ciascuno di essi offre elementi o di pregio o di limite, cerchiamo di approfondirli insieme.
Il globale si definisce da solo e prevede che la filiera si sviluppi trasversalmente in paesi diversi, quindi un maiale allevato in un paese viene macellato e le sue parti anatomiche vengono vendute separatamente in paesi diversi, dove poi avverrà la lavorazione finale.
Molto spesso nel mondo dei prosciutti cotti vengono scelte materie prime olandesi o tedesche, soprattutto perché queste garantiscono carni magre più tenere e una marezzatura intramuscolare maggiore, anche se appena percettibile.
Si vuole così offrire un prodotto finito più succoso e dal colore più rosato.
Le pezzature sono mediamente minori anche perché il maiale allevato nel nord Europa viene macellato al raggiungimento di 120 kg di peso circa, mentre il nazionale, normalmente definito pesante, si macella con almeno 30/40 kg in più di peso vivo.
La Coscia cotta Meggiolaro è volutamente prodotta con cosce olandesi o tedesche che Alessandro sala solo a secco senza siringature poiché la fibra morbida della carne favorisce la penetrazione del sale senza bisogno di interventi invasivi.
La filiera nazionale segue delle dinamiche fortemente legate al Prosciutto di Parma Dop e San Daniele Dop, due giganti della salumeria italiana che con i loro disciplinari incidono anche sullo stile dell’allevamento (sono ben 3900 in Italia), le caratteristiche dell’animale e anche della coscia.
Rigidi sistemi di tracciabilità, fattisi ancor più stringenti dopo i recenti scandali, vogliono che non solo venga tatuato il maiale all’altezza della coscia, ma anche il taglio anatomico al momento della macellazione
Da questa rigorosa filiera attingono anche molte altre produzioni, cotti e arrosti compresi.
Avrete sicuramente già sentito parlare delle razze Landrace o Large White, garantiscono abbondante grasso di copertura, un’importante dimensione delle cosce e maggior compattezza delle carni.
Ottenere questi profili ovviamente genera un costo “energetico” maggiore per l’allevatore e un riconoscimento a valore più elevato sul mercato delle carni.
Prodotti come il Lenti & Lode, il San Giovanni, il Cuore Rosa sono figli di questo percorso e si contraddistinguono per la buona presenza di grasso, la piacevolissima eleganza organolettica e la bella dimensione.
E infine il terzo modello, il locale, altrimenti noto come “filiera chiusa”.
E’ sicuramente quello che gode di maggior virtù offrendo un valore aggiunto elevato, oltre ad un prodotto finito viene valorizzata una razza, un territorio, un allevatore che è anche trasformatore e artigiano.
Aderire a questo modello è impegnativo, dietro ad un circuito produttivo chiuso c’è una struttura, molto spesso familiare, che esige coinvolgimento pieno sui vari fronti della catena, dalla coltivazione dei cereali alla preparazione del mangime per il maiale, dalla cura dell’allevamento alla trasformazione del prodotto
Solo la macellazione viene esternalizzata per ovvi limiti strutturali.
Nonostante possiamo citare diversi produttori di salumi a filiera corta, come Agostino Ninone nei Nebrodi, le Selve di Vallolmo in Toscana o Casa Cason in Veneto, ci troviamo invece solo un esempio di cotto da filiera chiusa, si tratta della Spalla di Cinta Senese di Savigni, un prodotto dalle dimensioni importanti, ma dall’appeal accattivante.
Molto raramente infatti avviene che un’azienda agricola abbia anche un forno adatto alle cotture di prosciutti, anche perché molto spesso le cosce seguono un percorso di valorizzazione maggiore diventando prosciutti crudi di “razza”!
Alessandro De Conto
Responsabile Estero