Ero a cena in un ristorante trevigiano e per ingannare l’attesa mi è stato offerto un burro nostrano montato con una miscela marocchina di spezie (Ras el Hanout) da accompagnare ovviamente al pane. Questo mix ben proporzionato di ingredienti di origini diverse ha solleticato in me un’idea, ovvero che in molti casi per valorizzare o per comprendere ciò che ci è vicino dobbiamo guardare o conoscere ciò che sta più lontano, ciò che sta “fuori di qui”.
Vi starete senz’altro chiedendo dove voglio arrivare, visto che dovrei parlare di lardo. Tuttavia non si può scrivere di lardo, se prima non si guarda al maiale e al modo in cui l’utilizzo della sua carne è arrivato a far parte della cultura gastronomica italiana. E la grande svolta è avvenuta sedici secoli fa, quando la cultura decadente dell’Impero romano, la cui cucina era basata su pane, olio e vino, si è scontrata-incontrata con la cultura barbara del Nord Europa, la cui alimentazione poggiava su carne, latte, burro e lardo. Questi ultimi cibi permettevano un apporto calorico adatto ad affrontare un clima più rigido rispetto a quello Mediterraneo.
Bene, abbiamo abbastanza elementi per iniziare il nostro tour e per farlo ci spostiamo in Val d’Aosta, in montagna appunto, dove Bertolin produce il Lard d’Arnad Dop. Sin dal 1500 in questa regione si commercializzava questo prodotto. La sua peculiarità è legata alla stagionatura, che avviene nei caratteristici “doils”, contenitori in legno di castagno, rovere o larice che ospitano per almeno 90 giorni il lardo con una miscela di acqua, sale erbe e spezie quali: aglio, rosmarino, salvia, ginepro, alloro, pepe e noce moscata. Il sapore è dolce e speziato, con note prevalenti di rosmarino.
Attraversiamo tutto il Nord per raggiungere il Veneto dove tocchiamo velocemente il comune Lardo Salato da cucina, fondamento importante della cucina locale e non solo. Utilizzato come insaporitore di carni arroste, soffritti, ripieni o addirittura verdure come il radicchio di campo, si ottiene dalla parte più posteriore e sottile dello strato dorsale di grasso, e la sua stagionatura è brevissima.
Molto diverso certo da ciò che incontriamo a Colonnata. Il luogo del lardo per antonomasia, conosciuto davvero in tutto il mondo. Dici Lardo e pensi a Colonnata. Lì nel Carrarese è stato da sempre il cibo dei cavatori di marmo fin dal tempo dei Romani. Si dice che Michelangelo Buonarroti ne fosse un estimatore tanto da abbuffarsene quando andava a ricercare i migliori pezzi di marmo per le sue celebri opere. Il Lardo di Colonnata IGP viene stagionato per almeno 6 mesi nelle conche di marmo stesso. Le spezie utilizzate nella concia sono una eredità degli scalpellini greci, che i Romani invitarono a Colonnata per insegnare a tagliare il marmo e che con quelle spezie condivano il loro cibo e tenevano un legame con la loro patria. È una ricca miscela di sale marino naturale, pepe nero macinato, rosmarino fresco, aglio sbucciato e spezzettato grossolanamente, a cui si aggiungono cannella, noce moscata, chiodi di garofano e anice stellato. Il profumo è fragrante, l’odore delle spezie si alterna a quello del grasso e il binomio crea una splendida sinergia anche nel palato. Scegliete voi tra il lardo di Marino Giannarelli e quello del Poggio di Renata Ricci, li ritengo entrambi straordinari!
Rimaniamo in Toscana, questa volta nel Pistoiese, per assaggiare il Lardo di Patanegra di Bernardini. Il nome stesso ci porta a pensare a un grasso diverso, proveniente da un maiale Iberico e quindi particolarmente ricco di grassi insaturi. Ci dobbiamo aspettare una stagionatura minima di 6 mesi in conche di marmo, una sottile parte di magro e una baffa tendenzialmente alta. Il sapore è dolcissimo e non riporta particolari note speziate, in bocca si scioglie rapidamente, così come ci si aspetta da un lardo di razza Iberica.
E proprio la razza mi offre l’assist per introdurvi all’ultima tappa che, come spesso è accaduto in questa rubrica, è la Sicilia. Siamo a Mirto (ME), dove Agostino Sebastiano Ninone produce salumi di razza Nero dei Nebrodi. Questo maiale ha moltissime similitudini genetiche rispetto allo spagnolo, tuttavia ci sono alcuni distinguo importanti, il più evidente tra tutti è la dimensione. Il Lardo di Suino Nero dei Nebrodi che ne deriva è piuttosto piccolo, non particolarmente alto. Stagiona comunque per un periodo minimo di 6 mesi con bacche di pepe nero e rosa. Il colore è bianco lucente, il sapore delicatissimo, dolce, con lievi note sapide e aromatiche legate al pepe. Essendo come detto il lardo una preparazione di montagna, sia per la conservabilità, sia per l’apporto calorico, quella dei Monti Nebrodi rimane l’unica produzione siciliana conosciuta.
Ora non mi resta che suggerirvi di accendere i fornelli, tostare un po’ di pane e adagiarvi sopra una fettina di lardo. Quale? Ovviamente il vostro preferito!
Alessandro De Conto
Responsabile Estero