Spesso sentiamo parlare di latte crudo, caglio vegetale, formaggi senza lattosio, fermenti selezionati o latteinnesto, ma a volte non ci è chiaro come questi aspetti siano in relazione tra loro.
Ecco perché abbiamo pensato a una rubrica per approfondire gli ingredienti che costituiscono il formaggio, pochi e apparentemente semplici: latte, sale, caglio. A questi si aggiungono però anche fermenti lattici, muffe selezionate, conservanti (come il lisozima), erbe, spezie ecc.
Un tema che merita di essere approfondito per poter apprezzare caratteristiche e aspetti che a volte potrebbero essere poco immediati.
Il primo ingrediente che prendiamo in considerazione è il latte. Solitamente nella caseificazione viene utilizzato latte di vacca, di capra, di pecora o di bufala. Ciascuna di queste tipologie ha una particolare composizione, che peraltro varia all’interno della stessa specie passando da una razza a un’altra o a seconda del momento della lattazione (più ricco all’inizio e più povero alla fine).
Oltre all’acqua nel latte troviamo tre nutrienti principali: proteine, lattosio e grassi.
Le proteine
Contribuiscono alla composizione del latte per circa il 3,5%, si dividono in caseine (circa l’80%), assolutamente essenziali per la caseificazione, e proteine del siero: lattoalbumina e lattoglobulina (circa il 20%), che generalmente troviamo in quantità nella ricotta.
Ai fini caseari il latte deve possedere determinate caratteristiche. Alcune di queste riguardano il buon contenuto di caseina e soprattutto caseine di tipo genetico potenzialmente favorevole. Le variazioni quanti-qualitative della caseina si ripercuotono in misura determinante sulla resa in trasformazione e sulle caratteristiche della cagliata. La caseina si divide a sua volta in frazioni (αs1, βs2, β e k), e in particolare è la k-caseina quella che maggiormente influenza la resa in caseificazione e che ha ulteriori varianti genetiche che influenzano la qualità del coagulo.
Il lattosio
E’ lo zucchero del latte (quasi il 5% della sua composizione) e si trova nei suoi derivati in quantità variabile.
La digestione del lattosio avviene grazie a un enzima, la lattasi, che si trova nell’intestino tenue e scinde il lattosio nei due zuccheri semplici che lo costituiscono, il “glucosio” e il “galattosio”. La lattasi compare già alla 23ma settimana di gestazione e la sua attività è massima alla nascita, resta tale per tutto l’allattamento e inizia a diminuire durante lo svezzamento con una riduzione progressiva, che varia da individuo a individuo. Le persone che soffrono di intolleranza al lattosio non producono più lattasi. Un’intolleranza sempre più diffusa - ne soffre circa il 40% della popolazione in Italia - anche se probabilmente la forma lieve del disturbo sembra ancora più frequente.
Attenzione però a non confondere questo disturbo con l’allergia alle proteine del latte, patologia più grave perché chi ne soffre non può assolutamente ingerire latte e derivati.
Il livello di intolleranza è piuttosto soggettivo: alcuni possono trovare il latte poco digeribile, altri non possono proprio consumarlo senza stare male. I disturbi causati dall’intolleranza al lattosio (gonfiore, flatulenza, dolori addominali, diarrea) sono dovuti al fatto che la flora batterica presente nell’intestino fa fermentare questo zucchero, che non è stato digerito per la mancanza dell’enzima lattasi. Le persone intolleranti al lattosio devono prestare attenzione anche ai formaggi di capra, poiché anche questi lo contengono.
Le regole per l’uso delle dichiarazioni riguardanti l’assenza o la ridotta presenza di lattosio negli alimenti non sono attualmente armonizzate a livello dell’Unione Europea, a eccezione degli alimenti per lattanti (bambini con meno di 12 mesi di vita). In attesa che l’Autorità adotti misure pertinenti, AILI (Associazione Italiana Latto Intolleranti), che rappresenta la categoria degli intolleranti al lattosio in Italia, ha individuato tre diciture che potrebbero essere utilizzate con i relativi limiti:
- senza lattosio: meno di 0,01 g / 100 g
- a basso/ridotto contenuto di lattosio: meno di 1 g / 100 g
- naturalmente privo di lattosio: non contiene ingredienti lattei al suo interno fatta eccezione per alcuni tipi di prodotti lattiero caseari derivati.
Il lattosio è essenziale per lo sviluppo dei batteri lattici e dei microrganismi, che hanno un ruolo fondamentale nella composizione dell’aroma dei formaggi, perché è il loro principale nutrimento. Nei formaggi duri il poco lattosio residuo al termine della lavorazione viene quasi interamente trasformato in acido lattico.
Formaggi senza lattosio: cosa vuol dire?
Il lattosio è maggiormente presente nei formaggi freschi o a breve stagionatura mentre è naturalmente assente, o presente in tracce, nei formaggi a pasta dura e piuttosto stagionati, perché la tecnologia di produzione separa una quantità di siero maggiore. Questo processo non dipende in alcun modo dal tipo di caglio utilizzato ma solo dalle dimensioni della cagliata e dall’eventuale cottura della stessa.
Formaggi delattosati
I latticini delattosati sono prodotti come gli altri formaggi, ma prima di iniziare la trasformazione viene aggiunto al latte l’enzima che scinde il lattosio. In questo modo è come se il lattosio fosse “pre-digerito”. L’aspetto non cambia rispetto ai formaggi che contengono lattosio, tuttavia al palato risultano leggermente più dolci.
I grassi
Mediamente nel latte vaccino i lipidi o grassi sono circa il 3,6% e si trovano sotto forma di piccole goccioline chiamate globuli.
Il grasso ha un ruolo fondamentale dal punto di vista organolettico e sensoriale, perché durante la maturazione dei formaggi le lipasi - enzimi che possono derivare dal latte, dal caglio, dalle muffe e dai microrganismi aggiunti e non - determinano la liberazione di acidi grassi a catena medio-corta, che contribuiscono al gusto e all’aroma del formaggio. I formaggi di capra e di pecora hanno un maggior contenuto percentuale di questi acidi grassi e sono per questo dotati di un aroma più intenso e piccante.
Per anni il consumatore è stato informato sull’importanza del controllo della quantità di grassi introdotti con l’alimentazione e negli ultimi tempi a questa consapevolezza è stato aggiunto un tassello in più: ovvero l’attenzione ai grassi saturi.
Effettivamente nel latte gli acidi grassi saturi sono circa il 70%, tuttavia quello che non viene detto è che il grasso è il costituente del latte maggiormente soggetto a variazioni, sia in termini quantitativi sia qualitativi.
Lasciare le vacche al pascolo alpino fa aumentare gli acidi grassi insaturi (da 29 a 34% circa) e il rapporto acidi grassi saturi/insaturi diminuisce da 2.5 a 1.8.
E’ interessante sapere che in tutta Europa sono stati condotti numerosi studi che dimostrano quello che probabilmente i nostri nonni sapevano da tempo, ovvero “che le vacche non sono fatte per mangiare mangime tutto l’anno” altrimenti la qualità del latte diminuisce, i gas prodotti dall’animale aumentano e le deiezioni inquinano maggiormente i terreni, facendo crescere così i rischi per la salute nostra e dell’intero pianeta.
E’ fondamentale tornare a uno stile di vita più vicino alla natura anche con la produzione di alimenti che esprimano genuinità e salubrità. Si deve ristabilire un equilibrio tra ambiente, produzioni e quantità e questo lo si può ottenere solo attraverso scelte consapevoli. Sicuramente i formaggi prodotti con latte di pascolo e alpeggio sono un buon inizio.
Giorgia Barbaresco
Responsabile Qualità