“Il prezzo più basso non sempre è il prezzo più giusto” scriveva qualche tempo fa NaturaSì in una campagna di comunicazione. Un prezzo è giusto - e di conseguenza la filiera è sostenibile - quando tutti gli operatori sono remunerati in modo equo.
Nell’articolo “I guerrieri del latte”, pubblicato su Repubblica il 12 febbraio scorso, Carlo Petrini cita Michael Pollan, che nel libro “Il dilemma dell’onnivoro”, scritto oltre 10 anni fa, definiva il cibo a basso prezzo una mera illusione: ciò che non viene pagato dai consumatori viene comunque pagato in termini di impatto sull’ambiente e sulla salute.
Ma qual è il giusto prezzo del latte?
Da tempo la Sardegna è al centro dell’attenzione mediatica, con la protesta dei pastori sardi, che hanno scelto di buttare il latte piuttosto che svenderlo. Scene che ricordano gli aranceti tagliati per fare legna, e non solo.
Purtroppo non è una novità, la rincorsa al prezzo più basso, in tante filiere dell’alimentare, finisce per scaricarsi sull’anello più debole della catena: i pastori, in questo caso, ma tante altre volte gli allevatori o i contadini.
Chi si prende cura della terra e degli animali, con passione, rispetto e fatica, portando avanti spesso tradizioni secolari, non sempre viene remunerato in modo corretto.
Per sottrarsi a questo gioco al ribasso, diversi allevatori, pastori da generazioni, hanno scelto di iniziare anche a trasformare il latte, all’interno della stessa azienda agricola.
In questi anni è una storia che abbiamo sentito ripetere tante volte, dall’Altopiano di Asiago fino al Marchesato di Crotone.
Allevatori che iniziano a trasformare il proprio latte, per dare valore alla materia prima e dare un futuro alla propria azienda agricola. E viceversa produttori che iniziano ad allevare i propri animali, per poter controllare la qualità del latte o della carne, sapendo dove e come vivono, cosa mangiano.
Non basta più solo l’artigianalità, sta diventando fondamentale integrare la filiera.
E proprio la filiera corta è un aspetto che ha un peso sempre più importante nei nostri criteri di selezione, in primis perchè consente al produttore un controllo diretto sulla qualità della materia prima.
Produttori “fermier” li abbiamo definiti in modo provocatorio esattamente due anni fa al Taste di Firenze, dove abbiamo presentato una selezione di pecorini artigianali a filiera corta.
Per chiarire, in Francia un formaggio può essere definito fermier quando risponde a tre requisiti:
(1) viene prodotto a latte crudo, (2) nel caseificio all'interno della stessa azienda agricola, (3) da produttori-allevatori che utilizzano esclusivamente il latte dei propri animali
“Chi riesce a trasformare in casa il proprio prodotto ha maggiori margini di guadagno oltre che maggiore soddisfazione e riconoscibilità”: scrive sempre Petrini (La Stampa, 20 febbraio 2019) sottolineando l’importanza dell’integrazione di fasi diverse della filiera.
E’ questa una delle direzioni di sviluppo dell’agricoltura, assieme all’”azienda agricola multifunzionale”, capace di coltivare prodotti differenti, di usare le deiezioni dei propri animali come fertilizzante, di essere al contempo fattoria didattica e punto vendita, e magari di offrire ospitalità.
I fratelli Cortese sull’Altopiano di Asiago, Borgoluce e Casa Cason in Veneto, la Fattoria Lischeto in Toscana, l’azienda agricola Maiorano in Calabria sono solo alcuni esempi di produttori che hanno scelto di integrare la filiera. Così come i fratelli Bussu e Leonardo Pulinas in Sardegna.
Gianfranco e Salvatore Bussu sono prima di tutto dei pastori. Il Caseificio Debbene si trova sull’altopiano di Campeda, in Sardegna, e più precisamente a Macomer, in provincia di Nuoro. I formaggi vengono prodotti esclusivamente con il latte crudo ottenuto da 1800 pecore di razza sarda di proprietà, allevate allo stato brado sull’altopiano.
Le pecore hanno a disposizione circa 200 ettari di pascolo (50% seminativo e 50% pascolo naturale), ricco di erbe autoctone, quali ad esempio trifoglio incarnato campeda, loietti spontanei, erba cipollina, che conferiscono al formaggio un sapore unico.
L’alimentazione viene integrata unicamente con l’aggiunta di foraggio biologico prodotto all’interno della stessa azienda agricola, senza concimi chimici.
Anche il caglio utilizzato viene prodotto da agnelli di razza sarda. Gli animali non vengono mai curati con antibiotici o prodotti di sintesi, l’azienda è certificata “bio” da oltre 15 anni.
Anche l’azienda agricola Luigi Pulinas è un’azienda “a circuito chiuso”, come la definisce Leonardo, perchè gestisce l’intera filiera, dall’agricoltura all’allevamento fino alla trasformazione del latte. Gli animali - circa 600 pecore di razza Sarda - vivono nei terreni di proprietà praticamente allo stato brado, alimentandosi al pascolo in modo naturale.
Il valore della filiera corta sta proprio nella possibilità di controllare ogni fase della produzione, a partire dall’agricolura e dall’allevamento
L’azienda è gestita dalla famiglia Pulinas da generazioni, delle quali si perde memoria. Oggi è Leonardo a gestire l’attività assieme al fratello Antonio, utilizzando le stesse tecniche di lavorazione tramandate dai loro avi, con la caldaia di rame e lo spino di legno.
Latte crudo, artigianalità, alimentazione e rispetto degli animali, biodiversità dei pascoli sono gli aspetti in comune dei “nostri” produttori fermier. Dare un valore a questi aspetti significa anche essere disposti a pagare un prezzo che li remuneri.
Con la consapevolezza che ciascuno di noi ha la possibilità di orientare il sistema alimentare, acquisto dopo acquisto, scelta dopo scelta.
Un potere di cui dovremmo essere più consapevoli, ma anche una responsabilità a cui non possiamo più sottrarci.
Martina Iseppon
Responsabile Marketing