Agnolotti, cappelletti, ravioli... Sono solo tre delle numerose specialità di quel filone della pasta ripiena che rappresenta un vanto della cucina italiana. Ogni regione custodisce le proprie ricette tradizionali, ma sciogliere il nodo della loro origine rimane un vero giallo
Mentre gli esperti sono abbastanza concordi sulle ipotesi di diffusione della pasta negli Stati che precedevano il Regno d’Italia, è piena bagarre per quello che riguarda l’origine di questi deliziosi involucri di sfoglia dai mille ripieni, serviti asciutti con salse o in brodo.
Il dubbio è amletico. I vari formati di pasta ripiena che oggi conosciamo rappresentano una reinterpretazione e rivisitazione ispirata ai numerosi dumplings di origine Mongola, Persiana o Cinese?
Anche in questo caso il campanilismo la fa da padrone e ciascuno racconta la storia dal proprio punto di vista, citando miti e leggende, talvolta davvero bizzarri.
LE ORIGINI CINESI
Il più curioso è sicuramente quello che narra l’origine dei più famosi tra i ravioli del nord della Cina, i jiaozi, che sarebbero stati inventati dal medico Zhang Zhongjing, durante l’era della dinastia Han (25–220 d.C.), come un rimedio della Medicina Tradizionale Cinese (MTC).
In origine queste squisitezze venivano chiamate jiao’er, ovvero “teneri orecchi” perché si usavano per trattare… il mal d’orecchi da congelamento!
Zhang Zhongjing pensò infatti di curare le persone povere che si ammalavano durante il rigido inverno, non avendo vestiti caldi e cibo a sufficienza, con una tazza di brodo curativo, preparato con carne di montone e erbe e due ravioli a testa jiao’er di carne, aglio e zenzero.
La cura durava dal solstizio d’inverno fino alla Festa di Primavera (chūnjié), ricorrenza che segna il Capodanno cinese.
Il rimedio si rivelò talmente efficace che ancora oggi le famiglie cinesi preparano insieme, per la più importante festa del calendario cinese, centinaia di ravioli, in segno di buon auspicio per il nuovo anno.
LE ORIGINI MONGOLE
Leggende a parte è più probabile che il concetto di “raviolo” sia un’invenzione dell’Impero Mongolo e che discenda dai mantou, che troviamo ancora oggi sulle tavole, dalla Turchia con il nome di manti fino alla Corea, come mandu, grazie alla loro diffusione lungo
La via della Seta. Secondo questa teoria i jiaozi cinesi ne rappresenterebbero una semplice evoluzione avvenuta nei secoli, per mano degli Uiguri dello Xinjiang, che trasformarono questo “panino” a vapore farcito di carne in un piccolo raviolo ripieno.
LE ORIGINI PERSIANE
La terza ipotesi è quella che ci riguarda più da vicino e sostiene che anche la nostra pasta ripiena sia stata ispirata a qualcosa di simile, come forma e concetto, sicuramente non come ripieno e salsa di accompagnamento, ai dumplings che si preparavano nell’antica Persia, sotto l’Impero Sassanide (651 d.C.). che si estendeva dal Mediterraneo orientale all’Asia Centrale.
La cucina italiana ha il grande merito di aver saputo appropriarsi nel corso dei secoli di tanti spunti creativi di terre lontane per reinventarli a modo suo, valorizzando materie prime e gusti che ci identificano e ci rendono unici al mondo.
Per rendercene conto basterebbe confrontare le forme e la lavorazione dell’involucro di specialità come i culurgiònes sardi dell’Ogliastra, incredibilmente identici ai momo da zuppa nepalesi, o quelle dei pansotti liguri, così simili ad alcuni dim sum di Hong Kong.
A PROPOSITO DI RIPIENI
Se le sembianze e le tecniche di piegatura sono assai simili a quelle asiatiche, le cose vanno ben diversamente per i ripieni e le salse d’accompagnamento.
I ripieni vegetali di cavolo cinese o castagne d’acqua, spesso aromatizzati con zenzero e aglio, lasciano il posto alle patate profumate alla menta, al prebuggiún di erbe spontanee primaverili o alla zucca autunnale, nel caso dei caplaz ferraresi.
Le salse allo yogurt, si convertono al burro fuso, magari profumato alle erbe o alla panna da cucina, i ripieni di gamberetti o polpa di granchio, ripiegano sui filetti di cernia, orata o branzino o sui pesci di lago.
Se parliamo di carni, condividiamo con la Cina sicuramente quelle di maiale, ma non certo il montone!
Al ripieno aggiungiamo il manzo, il pollo, il prosciutto crudo di Parma, del Parmigiano o della Mortadella… e siamo arrivati in Emilia, a parlare di cappelletti e anolini, questioni di taglia. In generale da noi le spezie si attenuano e le aromatiche la fanno da padrone.
Il brodo di gallina, cappone o manzo è più presente al nord dello Stivale e ricorda incredibilmente alcune zuppe dello Yunnan, mentre al sud si prediligono i densi sughi aromatici di pomodoro, anche concentrato o stufato con le costine di maiale. Perché no?
PANSOTTI LIGURI | LIGURIA
Per certi versi possono essere considerati l’anello di congiunzione tra Oriente e Occidente, e non solo per la loro forma, assai simile ai dumplings asiatici.
Alcuni sostengono che la salsa di noci con la quale vengono serviti sia una rielaborazione della salsa tarator turca a base di yogurt, aglio e noci, che i genovesi avrebbero importato e modificato da Galata Saray, il quartiere genovese d’Istanbul.
DIM SUM | HONG KONG
Una leggenda narra che un imperatore cinese, giunto in visita a Hong Kong, dopo settimane di viaggio, arrivato sull’Isola dei Nove Draghi chiese al cuoco locale che doveva occuparsi di lui di cucinargli qualcosa di speciale, in grado di portargli la gioia nel cuore (dim sum), altrimenti lo avrebbe fatto decapitare.
Il cuoco andò in fibrillazione e poiché non conosceva i gusti dell’Imperatore pensò di dilettarlo con 100 tipi di ravioli, uno diverso dall’altro.
L’imperatore provò la “gioia nel cuore” e da quel giorno obbligò il cuoco a portare in tavola un banchetto di Dim Sum. La sua salvezza divenne la sua condanna.
Vittorio Castellani
Giornalista “gastronomade”