Un vero signore, innamorato della sua terra e del suo lavoro, di quelli che, con stile, riescono a farti riflettere, con delle domande a volte scomode, ma anche a farti sorridere
Senza filtri. Marino Giannarelli è così, una persona che dice quello che pensa, senza riserve. O si odia, o si ama, ma non dà l’idea di preoccuparsene.
E’ convinto delle sue scelte, innamorato del luogo in cui vive e maestro nel suo lavoro. Ti piace, bene; non ti piace, arrivederci e grazie.
Ho incontrato Marino per la prima volta più di vent’anni fa: avevamo organizzato una visita da Giannarelli con la rete vendita, io ero ancora all’Università e davo una mano in Valsana soltanto il sabato.
Ne approfittai per organizzare un week end in Toscana in moto con il mio ragazzo dell’epoca, che volle fare il passo della Futa, prima di raggiungere tutti gli altri a Colonnata. Bei tempi.
Al primo incontro Marino mi mise davvero in soggezione: così sicuro di sè, così netto nelle sue opinioni. Oggi lo reincontro con piacere, dopo tante occasioni in cui abbiamo avuto modo di conoscerci in questi anni, tra fiere ed eventi vari.
Raggiungiamo la sede dell’azienda in via Comunale di Colonnata (MS): uno dei due laboratori di produzione di proprietà.
Il luogo è spettacolare: un anfiteatro naturale formato dalle montagne di marmo del bacino di Colonnata abbraccia il laboratorio, proprio sulla strada a tornanti che sale al paese di Colonnata, attraversando un bosco di castagni secolari.
In azienda lavora tutta la famiglia Giannarelli: i due figli di Marino, Luca e Alessia; Cristian, marito di Alessia; Anna Giannarelli, sorella di Marino e suo marito, Sandro.
“Luca lavora in produzione da sempre; Alessia, dopo la laurea in Chimica Tecnica Farmaceutica, segue la Qualità, mentre mia sorella Anna si occupa dell’amministrazione e suo marito degli acquisti, ma anche della logistica e a volte ci aiuta anche in produzione.Ci diamo tutti una mana, come succede in una piccola azienda dove si va d’accordo”“Ringrazio sempre mio padre Nestore per avermi sradicato da ragazzo da Sassalbo, in Lunigiana, dove abitavamo (mio nonno faceva il carbonaio), per trasferirci qui vicino, a Bedizzano, a nord di Carrara, nel versante marmifero di Colonnata, dove nel 1953 aprì la sua macelleria-salumeria. Qui iniziò a produrre salumi tipici e, soprattutto, il lardo, companatico principe per i cavatori di quei paesi”
C’è un legame molto stretto tra il lardo, il territorio, il marmo, il lavoro dei cavatori. Un pezzo di pane, uno di lardo, una fiaschetta d’acqua erano il pasto, leggero e nutriente, che portavano con sé quando salivano a sfidare la montagna: il lardo, data la non nobiltà del taglio e l’alto contenuto calorico, era “il cibo dei cavatori”, fin dal tempo dei romani.
Una leggenda racconta che fu proprio un cavatore a inventarlo per caso, mettendo dei pezzi di lardo, sale e spezie in una conca di marmo.
C’è un legame molto stretto anche tra la gente di Colonnata e le conche di marmo, da sempre presenti nelle case per conservare il lardo.Vengono scavate nel marmo dei Canaloni, una piccola valle dietro Colonnata, che ha una componente vetrina superiore agli altri, è semilucido, non trattato con mezzi chimici e consente un’osmosi ideale con l’esterno.
Proprio grazie a questa proprietà del marmo, all’interno delle conche si crea un’umidità naturale, e quindi una salamoia che permette la maturazione del lardo.
Le baffe vengono disposte a strati, “come una lasagna”: lardo, sale marino grosso siciliano - in ogni conca vengono messi circa 300 kg di lardo e ben 110-120 kg di sale - aglio italiano, rosmarino nostrale e un mix di spezie, la cui ricetta è custodita gelosamente da ogni famiglia.
Una curiosità: le spezie utilizzate nella concia del Lardo di Colonnata sono un’eredità storica degli scalpellini Greci, che i Romani fecero venire per insegnare a tagliare il marmo e che con quelle spezie condivano il loro cibo e tenevano un legame con la loro patria.
Dopo la visita al laboratorio e un pranzo delizioso con i salumi di famiglia, Marino ci accompagna in un piccolo tour dei bacini marmiferi fino alle cave di Fantiscritti, il cuore dei giacimenti marmiferi carraresi.
Seguiamo il tracciato della ex Ferrovia Marmifera, passando sui ponti di Vara e all’interno delle suggestive gallerie scavate nella roccia, alla scoperta delle cave, da cui già in epoca pre-romanica si estraeva il marmo bianco di Carrara. Sono più di cento le cave qui intorno, ma non sono più tutte “coltivate” - ci racconta Marino
Dall’età imperiale fino alla metà del XX secolo, quando furono costruite le prime strade di arroccamento, i blocchi erano trasportati a valle con il metodo della “lizzatura”: il marmo arrivava al porto di Luni percorrendo la via Carraia sopra carri trainati dai buoi.
Ma è Michelangelo a creare il mito delle cave apuane, fin dal suo primo viaggio a Carrara, nell’autunno del 1497 e nei viaggi successivi, dove si recava di persona per scegliere i marmi che avrebbero dato vita alle sue opere.
Si racconta, tra l’altro, che il Buonarroti fosse un grande estimatore del Lardo di Colonnata e che, nel corso dei viaggi a Carrara, ne facesse enormi scorpacciate.
Ci fermiamo in un piccolo piazzale alle pendici del Monte Croce, poco sopra la frazione di Miseglia.
Qui si incontrano due storici ponti ottocenteschi (1890) della Ferrovia Marmifera – una tra le più ammirate realizzazioni dell’ingegneria ferroviaria del secolo scorso per il trasporto a valle dei marmi - che collegava i tre bacini marmiferi di Torano, Miseglia e Colonnata attraverso una ardita serie di viadotti, ponti e gallerie.
La vista dei Ponti di Vara e delle cave è davvero suggestiva, così come attraversare il Monte Croce nella galleria scavata nella roccia.
Arriviamo al paesino di Colonnata, frazione di Carrara, abitata sì e no da 300 anime, dove la strada finisce.Marino ci porta in Via Giardino 35, un luogo che ha segnato la storia della gastronomia, perchè qui, proprio nel laboratorio della famiglia Giannarelli, Carlin Petrini ha fondato, nel novembre 1999, il Primo Presidio Slow Food
La Comunità Europea voleva imporre l’uso di vasche di alluminio al posto delle conche di marmo per motivi igienici.
Slow Food si oppose e il Lardo di Colonnata divenne il primo Presìdio Slow Food, salvando la tradizione; ad oggi non è più un Presìdio, ma fa ancora parte dell’Arca del Gusto di Slow Food.
Qui, in via Giardino, la famiglia Giannarelli ha acquistato negli anni diverse porzioni di un palazzo storico del 1909, riconvertite in laboratorio nel rispetto dell’architettura originaria. E qui, in diverse stanze, il lardo riposa nelle conche
“Solo in via Giardino possiamo produrre il Lardo di Colonnata IGP”, mentre nel laboratorio di via Comunale produciamo il Lardo Giannarelli, la Pancetta e il Guanciale di Colonnata”.
Fa sorridere pensare che proprio Marino che, con l’intuito che lo contraddistingue, nel lontano 1996 aveva registrato il marchio “Lardo di Colonnata”, ora non possa più usare questa denominazione per il lardo prodotto nel suo laboratorio di Via Comunale, ma solo per il Lardo prodotto - esattamente allo stesso modo e con la stessa materia prima - nella frazione di Colonnata, nel laboratorio di Via Giardino.
Nel 2002 il Lardo di Colonnata acquisisce infatti l’Indicazione Geografica Protetta, il cui disciplinare prevede che possa essere prodotto esclusivamente a Colonnata, frazione montano collinare del comune di Carrara.
Nonostante la richiesta di alcuni produttori di paesi vicini di poter includere il loro lardo nell’IGP, una sentenza del 2005 mise la parola fine alla “guerra del lardo”, assegnando l’IGP esclusivamente al Lardo prodotto nella frazione di Colonnata.
Ecco perchè nella produzione di Giannarelli troviamo sia il Lardo di Colonnata IGP - prodotto nella frazione di Colonnata - sia il Lardo Giannarelli, prodotto in Via Comunale di Colonnata.
La materia prima è la stessa: lardo ottenuto da suini bianchi di peso superiore ai 250 kg nati, allevati e macellati in Italia, nella pianura Padana.
Le baffe vengono scelte personalmente da Marino, che passa in media 1-2 giorni ogni settimana al macello di Carpi per poter selezionare solo quelle che soddisfano i suoi standard di qualità, perchè provenienti da suini pesanti, alte più di 5 centimetriUguale anche la concia con sale marino grosso, pepe nero, cannella, noce moscata, chiodi di garofano e anice stellato, aglio italiano e rosmarino nostrale.
Identica anche la stagionatura, che si protrae per almeno 6 mesi, durante i quali grazie al rilascio di umidità e per effetto del sale si crea una salamoia letale per i batteri. Motivo per cui lardo e guanciali sono privi di qualsiasi nitrito o nitrato.
Una parola aggiuntiva la merita il sale utilizzato nella marinatura: sale marino siciliano con cristalli di dimensioni importanti, a cui Marino, negli ultimi mesi, ha pensato di ridare nuova vita, nell’ottica dell’economia circolare, lasciandolo asciugare e proponendolo come un prodotto a sè: il Sale di Colonnata.
Un sale che ha assorbito, nei mesi trascorsi nelle conche, il sapore delle erbe aromatiche e delle spezie, e che si presta a diventare a sua volta un condimento con un’identità precisa per la carne, ma anche per il pesce.
E’ un progetto ancora in corso, che sarà presentato il prossimo anno a Cibus, Covid permettendo.
“Anche questa volta ho registrato il marchio, e per ora, per il Sale di Colonnata, non ci sono IGP all’orizzonte” - mi dice facendomi l’occhiolino.
“Non si tratta solo di fare business, ciò che conta a volte è l’idea, la capacità di ascoltare e anticipare le richieste del mercato e attraverso le scelte che fai raccontare chi sei”
E lui è indubbiamente riusciuto a farlo.
Martina Iseppon
Responsabile Marketing