La versione giovane prodotta con il ricco latte invernale raggiunge la stagionatura ottimale di circa 5 mesi: il periodo migliore per il Fiore Sardo Dop è ora!
⏱ 3 MINUTI DI LETTURA
Se c’è una cosa che questo lungo periodo di difficoltà mi ha insegnato è proprio di aggrapparmi ai sogni e non perdere la speranza. Mai come ora sogno di viaggiare, prendere l’aereo e raggiungere luoghi mai visitati prima oppure posti in cui sono stata e che mi riportano alle piacevoli emozioni vissute durante il soggiorno. Uno di questi luoghi è la Sardegna.
IL MOMENTO E' ORA
Ed è questo il momento migliore per assaggiare il Fiore Sardo, un pecorino che ha un legame strettissimo con la terra da cui proviene. Stessa connessione che sente Gianfranco Bussu, che fin da bambino frequentava “l’ambiente” con il padre.
In questo periodo le forme prodotte a dicembre e gennaio con il latte più grasso raggiungono la stagionatura di 4/5 mesi, ovvero quella ideale per apprezzare un prodotto dolce nonostante la sapidità, suadente, con note di latte, burro e miele arricchito con sentori di affumicato che abbracciano la complessità di questo magnifico formaggio.
In realtà c’è un altro momento dell’anno ideale per l’acquisto del Fiore Sardo, sono i mesi di settembre e ottobre, per la versione stagionata 10 mesi: il grasso mantiene morbida la pasta permettendo al formaggio di conservarsi al meglio anche dopo molti mesi, senza diventare mai troppo asciutto.
LA PRODUZIONE
Il Fiore Sardo di Gianfranco è prodotto solo con latte crudo delle sue pecore di Razza Sarda, caglio di agnello in pasta e sale. Un rinforzo con siero-innesto (il siero della lavorazione precedente ricco di fermenti lattici) è previsto solo a partire dal mese di maggio quando il latte è meno ricco.
Il latte viene coagulato a una temperatura bassa e questo fa sì che i microrganismi chiamati in causa in questa fase lavorino lentamente e abbiano bisogno di più tempo per la maturazione.
Appena uscite dalla salamoia le forme vengono trasferite nell’affumicatoio dove la temperatura è più alta e fa “risvegliare” altri microrganismi che secondo Gianfranco sono essenziali per completare l’opera e rendere unico questo formaggio.
L’affumicatura viene dosata a seconda della stagione, nei mesi invernali, freddi e umidi dura 15-20 giorni, nel periodo primaverile ed estivo invece dura circa 10 giorni, per non asciugare eccessivamente un prodotto che è già tendenzialmente più asciutto a causa del latte meno grasso.
IL CICLO DEL LATTE
Tutto dipende dal latte: le pecore vengono fecondate all’inizio del mese di maggio, partoriscono tra ottobre e novembre, e all’inizio di dicembre si comincia ad avere una maggiore quantità di latte disponibile. Nella prima fase una parte del latte è destinata al nutrimento degli agnelli che vengono lasciati con la madre (un mese i maschi e 40/45 giorni le femmine).
Il latte è ottimo da dicembre a maggio quando le pecore pascolano a Macomer, a 650 m di altitudine dove possono nutrirsi dell’erba fresca abbondantemente disponibile.
Successivamente ripartono le fecondazioni e si ha un calo fisiologico di produzione di latte, inoltre le temperature si alzano, l’erba fresca è sempre meno disponibile, fino a luglio quando le pecore vanno in asciutta. Le 1400 pecore di Gianfranco sono fortunate perché hanno a disposizione 150 ettari di pascolo con più di 100 tipi di essenze erbacee!
Volendo essere precisi però, questo periodo di “latte buono” può essere ulteriormente suddiviso in base alla stagione:
· latte invernale (dicembre-febbraio): l’erba è molto rigogliosa e le pecore sono in forma; siamo all’inizio della lattazione quindi il latte è grasso e il formaggio ha una pasta più morbida e dolce che trattiene di più l’umidità e si presta alla stagionatura, rallentata anche dalla temperatura bassa;
· latte primaverile (marzo-maggio): i prati si ricoprono di fiori ma il latte è meno grasso e fa sì che il formaggio tenda ad asciugarsi più rapidamente mal sopportando le lunghe stagionature; il pecorino però diventa più complesso e spiccano le note erbacee;
· latte estivo (giugno-luglio): siamo ormai a fine lattazione e il formaggio che si ottiene con questo latte ha una pasta piuttosto asciutta tanto da non poter più essere preso in considerazione per la versione “stagionata”.
Un tempo i pastori riuscivano a fare questa distinzione semplicemente guardando le forme e questo ci fa capire come il Fiore Sardo fosse legato alla stagionalità, aspetto a cui Gianfranco tiene moltissimo e sottolinea che se venisse prodotto pastorizzando il latte e aggiungendo fermenti selezionati, questa caratteristica verrebbe meno.DAL PASSATO...
Ma lo sapevate che il Fiore Sardo un tempo veniva esclusivamente commercializzato in continente perché in Sardegna non veniva apprezzato?
In origine veniva prodotto dai pastori durante il periodo di pascolo estivo, a 1000 m di altitudine nelle zone circostanti Ollolai, capitale della Barbagia, la zona montuosa centrale della Sardegna per poi scendere verso il mare da novembre ad aprile, e quindi risalire con la bella stagione.
Il pecorino veniva prodotto nelle pinnettas o pinnettu, ricoveri a base circolare in pietra e con il tetto di rami e tronchi dove si svolgeva la caseificazione.
Per riscaldare il latte veniva acceso il fuoco, il cui calore agevolava la formazione di una leggera buccia, mentre il fumo che invadeva il ricovero preservava il formaggio dagli insetti e dall’eccessiva formazione di muffa.
Durante il periodo invernale, quando le forme erano asciutte abbastanza da poter essere trasportate (2/3 mesi), venivano trasferite in montagna, nelle cantine delle abitazioni dei pastori, dove le donne se ne prendevano cura durante la stagionatura fino a novembre, quando era ora di riprendere la strada verso il mare.
In questo periodo i commercianti salivano e in un’unica volta acquistavano tutta la produzione. Il pecorino era quindi molto stagionato, salato e affumicato, ideale per affrontare la commercializzazione fuori dall’isola ma assolutamente troppo forte per essere consumato dai sardi.
...FINO A OGGI
Gianfranco racconta emozionato di come la tosatura delle pecore fosse un rito e una festa, iniziava a giugno e durava un mese e mezzo, tutti si aiutavano ed era l’occasione per stare insieme.
Oggi le cose sono molto cambiate, Gianfranco continua fare la tosatura da solo, ma alcuni chiamano squadre di tosatori che arrivano dall’Australia e dalla Nuova Zelanda, e la gestione della lana è sempre più un problema: fino a vent’anni fa era una fonte di reddito, oggi invece vale 10 centesimi al chilo ed è un problema anche solo farla ritirare.
Durante la chiacchierata con Gianfranco ho percepito tutto l’amore che ha nei confronti del suo lavoro, forse è riduttivo chiamarlo lavoro: è la sua esistenza, la sua storia e quella della sua famiglia, della sua terra e della tradizione di un popolo. Ho maggiore consapevolezza di quanto possa essere contenuto in un assaggio del suo formaggio: nostalgia, coerenza, coraggio e speranza. Buona degustazione!
Giorgia Barbaresco
Responsabile Qualità