Diffuse soprattutto in Asia, le salse a base di pesce fermentato trovano grande spazio nelle preparazioni culinarie di tutto il mondo, fino a Cetara...
Nella cultura alimentare, da secoli, la fermentazione è sempre stata uno dei tanti metodi di conservazione del cibo ma anche di uso del medesimo.
Dal controllo della fermentazione sono nate importanti civiltà: si pensi a quella del pane, del latte ma anche del vino. Oggi sappiamo che la fermentazione agisce sugli alimenti come una sorta di predigestione, migliorando la loro digeribilità e arricchendoli con le vitamine del gruppo B e con la vitamina del gruppo C.
Inoltre, grazie al lavoro dei batteri, i cibi fermentati sono gradevolmente aromatici e rendono più digeribili anche le pietanze che li accompagnano. Con la fermentazione miglioriamo e quindi prolunghiamo la conservazione dei cibi.
Circa un terzo dei cibi che mangiamo è fermentato, dalla birra... Al ciccolato, sì, proprio il cioccolato!
E spesso non lo sappiamo. Un processo che sa di misterioso e miracoloso. Tante culture, dall’artico ai tropici, hanno permesso che certi batteri governassero la trasformazione del pesce alterandone la consistenza e il gusto.
ASIA ORIENTALE
Soprattutto in Asia orientale questa cultura, ancor oggi, riveste un ruolo importante. Sembra sia nata migliaia di anni fa nelle acque dolci del sudovest della Cina e della regione del fiume Mekong per poi diffondersi a tutte le civiltà la cui sopravvivenza era legata al mare.
Ancor oggi sono numerose le salse o le paste a base di pesce fermentato: in Thailandia il Nam-plaa con i gamberi, in Giappone il Shottsuru con calamari e visceri, in Malesia il Budu con le acciughe.
C’è chi dice che il sushi sia nato proprio perché si è persa l’abitudine di far fermentare il pesce assieme al riso, cominciando a mangiarlo crudo.
Ma anche il chimchi coreano con verdure – in particolare cavolo cinese- fermentate con spezie e frutti di mare salati. E senza andare tanto lontano pensiamo ai crauti.
SCANDINAVIA
Anche il mondo scandinavo ci racconta storie curiose: il gravlax ad esempio, il salmone sepolto.
Sembra che di fronte all’abbondanza di pesce e alla scarsità di sale, i pescatori scandinavi salassero leggermente il pesce pulito e lo seppellissero avvolto in corteccia di betulla.
E qui avveniva una lenta e radicale trasformazione: la fermentazione lattica rendeva il pesce morbido dal forte odore di formaggio.
EUROPA
Nell’Europa mediterranea e romana per secoli la salsa più diffusa e usata era il garum o liquamen.
Si otteneva salando le interiora di pesce, lasciando fermentare la mistura al sole per vari mesi finchè i tessuti erano completamente dissolti e poi filtrando il liquido scuro.
Era usato come ingrediente nei piatti cucinati e come salsa in tavola, a volte mescolato con vino o con aceto.
Il ricettario attribuito ad Apicio la contempla in quasi tutte le ricette.
A CETARA
Tutto questo lungo giro per arrivare a Cetara, un piccolo borgo marinaro in provincia di Salerno, sulla costiera amalfitana, dove da secoli si prepara, se vogliamo definirlo così, l’erede del garum: la colatura di alici.
Una salsa realizzata facendo colare il succo prodotto dalle alici salate e pressate in appositi recipienti.
Ogni primavera-estate, le alici pescate vengono messe sotto sale e lasciate riposare: la colatura sarà pronta al termine dell’autunno per essere poi confezionata in piccole botticine.
Le alici vengono pescate con la tecnica del cianciolo (una rete da circuizione a chiusura meccanica) con l’utilizzo della lampara, da fine marzo all’inizio di luglio, quando presentano un basso contenuto di grasso.
Questa specialità si racconta che abbia origine dai monaci cistercensi dell’Antica Canonica di San Pietro a Tuczolo, che salavano le alici in botti le cui doghe non erano in grado di tenere il vino.
Man mano che il sale maturava le alici faceva perdere il liquido che colava dalle doghe, liquido che veniva impiegato per condire.
La salsa viene utilizzata quasi esclusivamente al sud: bastano poche gocce per esaltare al massimo un semplicissimo piatto di spaghetti.
Ottima anche sulle verdure spadellate, sulle uova e su tutti i piatti di mare. Non è facile trovarla in commercio…ma provare per credere.
Lo avevano capito gli antichi: fidiamoci!
Danilo Gasparini
Docente di Storia dell'Agricoltura e dell'Alimentazione