Dal Gennargentu alle colline di Montepulciano: quella della famiglia Cugusi è la storia della migrazione dei pastori sardi, letta tante volte sui libri.
Ma raccontata da Silvana Cugusi ha tutto un altro sapore...
Chiamo Silvana Cugusi per fissare l’appuntamento per l’intervista e capisco subito che sarà un’impresa riuscire a incrociare le agende: in questo periodo il caseificio lavora solo due giorni a settimana, il martedì e il venerdì.
Le pecore hanno ripreso da poco la lattazione, erano in asciutta da settembre, e il latte disponibile viene lavorato due volte a settimana, circa 50 quintali per volta.
Tra i vari impegni e le scadenze per la consegna in tipografia della rivista riusciamo a trovare una sola giornata che, in qualche modo, vada bene a tutti.
Recupero Beatrice, la nostra fotografa di fiducia, alle 23 a Verona, dove ha tenuto un corso di fotografia, e partiamo subito verso la Toscana. Arriviamo alle 2 di notte ad Arezzo, ci riposiamo qualche ora e ripartiamo in direzione Pienza, anzi Montepulciano, per poter assistere alla lavorazione del pecorino.
Arriviamo un po’ trafelate, senza poterci fermare a fotografare con calma il paesaggio meraviglioso delle colline tra Pienza e Montepulciano, dove si trova il caseificio. Riusciamo comunque a rubare qualche scatto al volo dalla macchina. Ci accoglie Hubble, il labrador di Silvana e ci sentiamo subito a casa, privilegiate nonostante le poche ore di sonno: la vista dal caseificio è incantevole, duecentoventi ettari di ulivi, vigneti e pascoli. Lo sguardo si perde tra le colline e i poderi di famiglia, il profilo medievale di Montepulciano sullo sfondo.
Rimandiamo il caffè, ci cambiamo ed entriamo subito in produzione, la lavorazione è già nel vivo. Una sala con 5 piccole caldaie disposte sui due lati e uno spazio centrale per la lavorazione, dove tre ragazze - Simona, Dela e Manuela - stanno versando la cagliata negli stampi del pecorino (semistagionato), sotto l’occhio attento di Paolo, il casaro, cognato di Silvana.
La cagliata viene fatta sgrondare, quindi girata negli stampi, lasciando intuire quella che sarà la forma inconfondibile del pecorino di Pienza; le forme vengono portate in una cella dove riposano per qualche ora, mentre inizia la lavorazione della caldaia successiva.
Manuela prepara gli stampi e le griglie per la prossima lavorazione, Dela e Simona sono ancora impegnate a pressare manualmente le uniche due forme di Pecorino Gran Riserva della giornata.
Principe di casa, medaglia d’oro al World Cheese Award, il Gran Riserva viene lavorato e pressato manualmente, quindi stagionato 18 mesi su tavole d’abete nella cantina di stagionatura che si trova sotto al caseificio e trattato ogni 20 giorni in crosta con olio di oliva.
Come tutti gli altri formaggi di Cugusi viene prodotto esclusivamente con latte di pecora della zona: “Non ho mai lavorato del latte che non sia della Val d’Orcia, - mi dice Silvana - lavoriamo solo il latte del nostro gregge, che oggi conta circa 800 pecore, e di quattro pastori con cui collaboriamo da oltre 40 anni”.
Mentre Beatrice fotografa la lavorazione sbircio nella saletta attigua: una finestra con uno scorcio bellissimo sulle colline, appannata dai vapori che salgono dalla caldaia dove viene riscaldato il siero per la produzione della ricotta.
Mi ricorda il pentolone della strega, ma in realtà ci lavora una fata: Anna, figlia di Silvana, 23 anni, un diploma alla scuola alberghiera, un corso all’Accademia internazionale di Arte Casearia e poi la decisione di entrare nell’azienda di famiglia, seguendo il consiglio del nonno. La dolcezza dello sguardo si accompagna alla delicatezza dei gesti con cui sembra quasi accarezzare i fiocchi di ricotta mentre li raccoglie.Non posso fare a meno di notare che sono tutte donne in lavorazione, a parte Paolo, e chiedo a Silvana se sia un caso o una scelta: “Un po’ l’uno un po’ l’altro - mi risponde - ma in produzione le donne hanno un’attenzione ai dettagli che per noi è molto importante.” In tutto a Pienza ci sono una decina di caseifici.
Ciò che rende unico il Caseificio Cugusi è l’attenzione al prodotto in ogni fase: a partire dal pascolo, dove non vengono usati concimi chimici nè diserbanti, al latte che deve essere sempre perfettamente pulito, fino a ogni passaggio nella lavorazione e nella stagionatura.Silvana è una bella donna, lo sguardo serio che mette un po’ di soggezione all’inizio. Ma è un’impressione che si dissolve subito appena inizia a raccontarci con gli occhi lucidi la storia della sua famiglia.
Sono gli anni ‘60, i Cugusi vivono a Fonni (Nu), in Sardegna, un paese sulle pendici settentrionali del Gennargentu, a mille metri di altitudine.
E’ una famiglia fortemente radicata nella comunità del paese: il papà di Silvana, Raffaele Cugusi, coltiva 27 ettari di terreno, sia di proprietà che in affitto, e ha diversi animali, sia mucche che pecore; la mamma, Maria, gestisce la latteria, centro del tessuto sociale del paese. Abitano in una casa comoda, con acqua e corrente elettrica.
Ma Raffaele è un’anima inquieta. Frequenta un corso serale di agraria, per sperimentare nuove sementi, dove uno dei docenti gli racconta della particolare situazione in cui versa la Toscana, con l’abbandono delle campagne, tanta terra disponibile a prezzi bassi, diversi incentivi per l’avvio di attività agricole. Raffaele parte da solo, gira per oltre un mese tra Arezzo, Siena e Firenze a vedere terreni e poderi e quando torna a casa la decisione è già presa.
Contro l’opinione di tutti, considerato un pazzo dai compaesani, Raffaele non demorde. Maria non condivide la scelta, ma al momento di partire si toglie il fazzoletto e l’abito tradizionale sardo e si taglia i capelli, pronta a iniziare una nuova vita.
La famiglia Cugusi si imbarca a marzo del 1962, con nove figli (di cui uno in grembo) e 300 pecore. Quando arrivano a Chiusi, Maria dice al marito che non lo perdonerà mai per questa scelta azzardata.
Raggiungono La Boccia, un podere abbandonato, isolato da tutto e da tutti, senza acqua e senza elettricità, fa freddo e c’è fango ovunque. Silvana ha 9 mesi, il fratello più grande 16 anni. “Mamma piangeva tutti i giorni”, ricordano i fratelli di Silvana.
Raffaele non si scoraggia, “quando si lavora i problemi vanno via”. Sistema piano piano il podere, impara dai pastori toscani la tecnica casearia del luogo, innestando le sue conoscenze in un mercato nuovo che ha delle caratteristiche diverse e richiede un prodotto più delicato rispetto ai formaggi sardi. Impara a fare il pecorino con la presura, un caglio con carciofi selvatici che richiede dei tempi di coagulazione più lunghi rispetto al caglio di agnello tradizionalmente usato in Sardegna.
Ogni giorno Raffaele si carica in macchina i figli e i formaggi e porta gli uni a scuola, gli altri al mercato. Tutti i nove fratelli sono coinvolti nell’attività di famiglia: sveglia all’alba per mungere o badare al gregge e poi a scuola. Giannetto, il più grande dei nove fratelli, frequenta la scuola per casari di Lodi e inizia ad occuparsi della produzione. Pian piano i pecorini di Cugusi si fanno conoscere e le persone vengono in azienda ad acquistarli. Dopo un anno anche Maria si convince che è stata la scelta giusta.
Diversi anni dopo, con l’entrata in azienda di Silvana e Giovanna il caseificio prende l’aspetto di oggi. L’integrazione è completa: in Toscana sono infatti le donne a occuparsi degli animali e cagliare il latte. Oggi sono una ventina le varietà di pecorini prodotti, stagionati con la crusca, la vinaccia, la cenere, speziati al pepe, al peperoncino, allo zafferano, al tartufo. Quasi tutti venduti allo spaccio o ai negozi dei dintorni. Provo a convincere Silvana a lasciarci inserire nel nostro assortimento il Gran Riserva, o almeno il Riserva Piccola, promettendo di rispettare i loro limiti di produzione, senza chiedere troppo.
Il bello di questa azienda è proprio la “testardaggine” con cui difende la sua identità, il rifiuto di usare del latte che venga “da fuori”, la volontà di salvaguardare una lavorazione artigianale per davvero, non solo a parole, e una dimensione familiare.
Tutti i fratelli di Silvana a parte due (uno veterinario e l’altro dentista) lavorano ancora oggi nell’azienda agricola: chi con l’allevamento, chi con l’agriturismo. “I nostri genitori ci hanno insegnato a essere una famiglia unita” racconta Silvana visibilmente emozionata.
Ripartiamo in fretta, dobbiamo essere di nuovo a Verona per le 16. E’ stata una trasferta breve ma intensa, rientriamo con tante emozioni nel cuore e la voglia di tornare.
Martina Iseppon
Responsabile Marketing