Lunedì mattina di un grigio giorno di pioggia decisamente autunnale. Rileggo gli appunti dell’intervista a Paolo di Casa Cason e provo a riordinare i pensieri. Cerco alcune informazioni sulla tradizione contadina veneta della macellazione del maiale e di colpo mi ritrovo bambina, nel borgo di Vergoman, a Miane, il mio paese di origine nell’alto trevigiano, ad assistere inorridita e affascinata al tempo stesso, al rito della macellazione. Il tavolo di lavaro, il tritacarne, i pentoloni in cui venivano bollite le ossa. Perchè del maiale non si butta niente, si sa. Gli uomini che disossavano, tritavano, insaccavano, le donne che preparavano la cena per tutti, noi bambini che giocavamo in cortile. Era un rito, una festa, che coinvolgeva tutta la borgata. Il patrono di Vergoman non per niente è Sant’Antonio Abate, che si festeggia il 17 gennaio, noto anche come Sant’Antonio “del porcello”, per i ritratti che lo raffigurano con un maiale ai suoi piedi.
Le immagini che mi porto dalla visita a Casa Cason sono l’opposto dei miei ricordi di bambina: un laboratorio immacolato, dove tutto è ordinatissimo - si capisce subito che sull’igiene Paolo non transige. Il laboratorio si trova in un vecchio casale contadino a San Pietro in Gù (PD), un paese disperso tra la campagna del padovano e del vicentino. A fianco del laboratorio, il capannone dove vengono allevati i maiali. Eppure arrivando non si direbbe, non c’è traccia dell’odore che di solito rende riconoscibili gli allevamenti di suini già a distanza. “Usiamo il perfosfato per ridurre l’inquinamento olfattivo dell’allevamento - ci spiega Paolo - un fertilizzante che si lega con l’ammoniaca, rendendo al tempo stesso le deiezioni più facilmente assimilabili dal terreno”.
“La nostra famiglia alleva maiali dal 1957. In origine tutti gli animali venivano destinati al macello. Mio nonno Giacomo però ogni tanto ne ammazzava qualcuno e lo lavorava in casa secondo tradizione. Giusto per il consumo familiare e per fare qualche regalo ad amici e parenti. Regali che venivano molto apprezzati: da qui l’idea di cimentarci anche con la produzione di salumi e non solo l’allevamento. Oggi alleviamo oltre 500 maiali, di cui circa 300 vengono anche trasformati da noi, mentre gli altri sono venduti al macello. Nell’allevamento seguiamo il disciplinare del prosciutto di Parma e San Daniele, rispettando anche la normativa regionale per il benessere animale. Il nostro non è un allevamento intensivo, i maiali hanno spazi adeguati e sono alimentati con una miscela, in percentuali variabili a seconda dell’età, di mais (prodotto in azienda), soia, crusca e un po’ d’orzo e sali minerali per integrare l’alimentazione. Li acquistiamo a tre mesi di vita, dopo lo svezzamento, e li portiamo fino a 12 mesi circa“.
Controllare l’alimentazione e la crescita è molto importante: la filiera cortissima, la qualità della materia prima, assieme all’igiene nella lavorazione, sono i fattori che permettono di lavorare le carni senza additivi, garantendo al tempo stesso la sicurezza alimentare. Paolo segue ancora oggi la ricetta di nonno Giacomo: solo sale e pepe, niente conservanti, budello naturale, asciugatura e stagionatura tradizionale.
“Quando raggiungono i 220 kg, a circa un anno di età, i maiali vengono portati a un piccolo macello locale, che ci restituisce le mezzene intere, le disossiamo noi. Nella produzione dei nostri salumi utilizziamo tutti i tagli, anche quelli più pregiati come la coscia. I maiali vengono macellati la mattina alle 7 e alle 9 sono già nel nostro laboratorio”.
La lavorazione “a caldo” permette di rendere più omogeneo l’impasto e ottenere una fetta più compatta al taglio. Salami e sopresse sono insaccati in budello naturale, aggiungendo solo un po’ di spago per i salami e una rete per le sopresse. L’asciugatura, che dura 5-6 giorni, avviene in una cella dove un macchinario imita il funzionamento delle stufe di una volta: aria secca e calda di giorno, freddo e umido di notte. La stagionatura ricrea invece l’ambiente della cantina: pareti fredde, temperatura omogenea e riciclo d’aria per evitare la formazione di muffe. La durata della stagionatura varia in funzione della dimensione, che non è mai standard usando appunto un budello naturale: in media comunque si va dai 60 giorni per il salame ai 5 mesi per la sopressa.
Un rispetto per la tradizione quasi maniacale, quello di Paolo, che si ritrova nel gusto di questi salumi, che ricordano davvero quelli di una volta. E che, come quelli di una volta, vanno anche gestiti e conservati: lontano da fonti di luce e calore per evitare che si secchino, accettando la naturale ossidazione della prima fetta al contatto con l’aria.
Capire il valore dei salumi senza conservanti passa anche dalla disponibilità ad accettare alcuni “inconvenienti”, come l’ossidazione e un colore più scuro, rinunciando a un po’ di comodità e ai rossi accesi a cui l’industria alimentare ci ha abituato.
Martina Iseppon
Resposanbile Marketing