“Ho scoperto che i miei figli non sono Millennials ma appartengono alla generazione Z”.
La chiacchierata con Lodovico Giustiniani di Borgoluce inizia con una discussione sulle differenze tra Millennials, ragazzi che hanno raggiunto la maturità nel nuovo millennio, e la generazione Z, a volte definita anche come la generazione dei “nativi digitali”: ragazzi nati dopo il 1995, che non hanno mai vissuto senza Internet.
Potrebbe sembrare fuori tema, in realtà non è così: la generazione Z è una generazione che non si accontenta, che ricerca l’autenticità ed è molto sensibile ai temi della salvaguardia dell’ambiente e dei diritti civili.
Ragazzi capaci di influenzare le scelte di acquisto, che “vivono” in rete e hanno le idee chiare rispetto a quali sono i valori premianti in un brand, in primis l’attenzione all’ambiente.
“Sul tema della sostenibilità Borgoluce ha una bella visione, ha sposato questo modello quando ancora non era così di tendenza come oggi”, dico a Lodovico, chiedendogli di raccontarmi come è nata l’idea della Tenuta.
Mi spiega che in realtà è stata più una scelta di “continuità storica” che di innovazione.
Il mondo agricolo è sempre stato orientato come si dice oggi all’economia circolare, un’economia capace di rigenerarsi, riducendo gli sprechi e favorendo l’utilizzo di tutto cià che viene prodotto: la rotazione delle colture, l’alternanza di campi coltivati, prati e pascoli, il riutilizzo delle sottocolture e dei sottoprodotti per l’allevamento sono concetti che appartengono da sempre al mondo contadino.
Oggi va di moda parlare di economia circolare, ma in Borgoluce il modello dell’agricoltura circolare viene praticato da mille anni.
Possiamo anche dire che non ci sono state grandi innovazioni fino al secondo dopoguerra, quando l’agricoltura ha “copiato” il modello industriale, introducendo il concetto di specializzazione, che ha portato a colture e allevamenti intensivi, anche grazie all’introduzione di una meccanizzazione spinta e all’uso della chimica.
“In Borgoluce abbiamo di fatto portato avanti un modello agricolo che nella nostra tenuta e nella storia della nostra famiglia veniva praticato da sempre”.
Borgoluce è una tenuta di 1200 ettari di proprietà della famiglia Collalto dal XII secolo, oggi gestita da Ninni e Caterina di Collalto, insieme alla madre Trinidad e al marito di Caterina, Lodovico Giustiniani.
Pascoli, boschi, allevamenti, campi coltivati, vigneti, frutteti, canali, mulini, caseifici: nei secoli passati questa varietà consentiva di produrre all´interno della tenuta tutti i prodotti necessari alla vita quotidiana, una tradizione che è stata semplicemente mantenuta.
Oggi prende il nome di agricoltura sostenibile, economia circolare, rispetto della biodiversità: di fatto è il modo più naturale di mantenere il terreno ricco e fertile, proteggendo la vita di ogni specie dell´ecosistema.
Mi piace questa lettura storica, credo però sia innegabile che oltre a un tema di continuità ci sia stata anche la capacità dell’azienda di avere una visione di lungo periodo.
“Specializzare le colture sicuramente porta a dei risultati economici significativi nel breve periodo, ma nel lungo termine impoverisce la terra.
I vigneti, ad esempio, da noi rappresentano il 10% della superficie coltivata: un dato in controtendenza rispetto a ciò che accade nel nostro territorio, dove spesso il 100% dei terreni viene destinato alla monocoltura della vite, a discapito di prati e pascoli, che stanno scomparendo”.
“In Borgoluce ecosostenibilità significa attenzione, cura, rispetto delle risorse naturali. Ma significa soprattutto ricchezza: per la nostra terra, che rispettiamo e valorizziamo ogni giorno; per i nostri clienti, che hanno la sicurezza di scegliere prodotti sani e gustosi; ma soprattutto per le generazioni future, a cui insegniamo a conoscere e ad amare la campagna, e a cui vogliamo consegnare, un giorno, un posto migliore in cui vivere”.
E’ il recupero di una saggezza antica, che non significa chiudere le porte all’innovazione, pensando di dover vivere come si viveva nei secoli scorsi. Al contrario, impone di saper anticipare il mercato e valorizzare le risorse naturali senza sfruttarle con una logica speculativa.Un esempio che mi colpisce è il noceto: anche questo piantato diversi anni fa, impiega infatti ben 7 anni prima di diventare produttivo.
Oggi sappiamo che la frutta secca è fonte di nutrienti essenziali per la dieta quotidiana e una piccola razione è consigliata in quasi tutte le diete, ma piantarlo anni fa al posto di altre colture più redditizie nell’immediato è stata sicuramente una bella sfida. Vinta. Così come lo sono stati l’allevamento dei bachi da seta negli anni ‘50 o la coltivazione dei kiwi negli anni ‘70 o l’impianto di biogas nel 2010.
Anche per quanto riguarda l’energia Borgoluce è infatti un’azienda all’avanguardia: oltre a un impianto fotovoltaico da 60 kW, ha due impianti che generano l’energia necessaria per l’autoconsumo delle due sedi produttive: una caldaia a biomassa, che produce energia bruciando il legno, sottoprodotto dei boschi, e delle coltivazioni; un biodigestore che trasforma le deiezioni degli animali e l´insilato dei cereali in biogas, generando energia elettrica ed energia termica, per riscaldare la stalla e le sedi aziendali. Il biogas è composto da metano per il 50%: viene aspirato da un motore e utilizzato per produrre energia elettrica; il motore viene raffreddato ad acqua utilizzata per il riscaldamento delle sedi aziendali.
Biodiversità per Borgoluce significa rinunciare alla logica speculativa della specializzazione per favorire un modello di agricoltura multifunzionale, che fa coesistere nella stessa azienda agricola vigneti, seminativi, prati, pascoli, boschi, oliveti e, naturalmente, l’allevamento: non solo di bufale ma anche di bovini di razza Limousine, suini di razza Duroc e ovini da carne di razza Alpagota, per un totale di circa 1300 animali.
L’allevamento è da sempre funzionale all’agricoltura: favorisce la rotazione colturale per la produzione di foraggere ed erba medica, di paglia da usare come lettiera, di mais e frumento da usare come integrazione nell’alimentazione degli animali, mentre le deiezioni vengono utilizzate per la produzione di biogas e per fertilizzare il terreno.
Nei primi anni duemila il latte vaccino aveva raggiunto un valore bassissimo, tanto che si era deciso di chiudere la stalla.
L’allevamento era però necessario nell’ambito del modello agricolo della tenuta e si era pensato di sostituire l’allevamento vaccino con le capre, oppure con le bufale.
A partire dalla fine degli anni ‘90 la mozzarella di bufala già aveva iniziato la sua ascesa, tuttora in corso. A ciò si aggiunga una storicità degli allevamenti di bufali nella pianura padana, che venivano usati come animali da lavoro nelle risaie.
Due fattori che hanno fatto ricadere la scelta su questi animali. Per dare valore all’allevamento, fin da subito si è deciso di non fermarsi soltanto alla produzione di latte, ma anche di trasformarlo, realizzando un piccolo caseificio di fianco alla stalla.
Attualmente Borgoluce ha circa 400 capi in stalla tra maschi e femmine, di cui 100-110 in lattazione, ed è già al limite della sua capacità produttiva.
Le bufale vivono libere in una stalla e a rotazione vengono mandate al pascolo all’aperto. Una modalità di allevamento che garantisce il benessere animale, ma che richiede spazi importanti. Una scelta che Borgoluce ha deciso di difendere, senza spostarsi verso alternative di allevamento intensivo e continuando a lavorare esclusivamente il proprio latte, pur a fronte di una domanda crescente.
“Stiamo comunque valutando altre strade per riuscire a soddisfare la richiesta dei nostri clienti, che d’estate raggiunge oltre il doppio della nostra capacità produttiva”
E’ curioso ricordare infatti che le bufale raggiungono il picco di produzione (11/12 litri al giorno) d’inverno, mentre d’estate la produzione arriva a circa 8 litri al giorno - in questi giorni in cui tutti gli ordini di mozzarella di bufala sono “contingentati” sembra proprio una beffa.
E nonostante le difficoltà di questo periodo, in cui riceviamo le mozzarelle anche più volte al giorno nel tentativo di soddisfare il maggior numero possibile di richieste, purtroppo spesso senza riuscire ad accontentare i nostri clienti, non possiamo che condividere e rispettare la coerenza di quest’azienda.
Perché sostenibilità significa anche saper gestire e accettare i limiti di produzione.
Martina Iseppon
Responsabile Marketing