Bartolomeo Scappi, la stella della cucina del XVI secolo: la carriera, la sua straordinaria opera e la fama
Per dirla con Tomaso Garzoni, in modo graffiante, autore della Piazza Universale di tutte le professioni del mondo (1586) i cuochi, all’epoca in cui Scappi scrive, erano assurti oramai, nella società del pieno Rinascimento a gloria sempiterna, entrati a far parte dell’“Accademia dei potacchi”. “ E allora i cuochi – scrive, usciti dalle unte cucine - entrarono nelle scuole e drizzando una Academia di leccardia si cominciarono a far conoscere per maestri e dottori”.
Un po’ come oggi insomma! Quali le star? Il Platina, alias Bartolomeo Sacchi, Domenico Romoli, detto il “Panunto”, Cristoforo Messisbugo, cuoco e scalco alla corte degli Estensi a Ferrara e lo Scapo, ossia Bartolomeo Scappi, per anni cuoco alla corte pontificia.
LA VITA
È ignota la data di nascita di Bartolomeo Scappi, sappiamo ora che era lombardo, nato a Dumenza, sul Lago Maggiore, tra la fine del XV secolo e gli inizi del XVI e che è morto il 13 aprile 1577.
Non abbiamo informazioni sul suo apprendistato, anche se la varietà regionale delle sue ricette suggerisce che si sia formato nelle regioni del nord Italia.
La sua carriera si sviluppa nelle cucine del cardinal Marino Grimani a Venezia e procede a Roma, a cominciare dall’organizzazione del solenne banchetto di Carlo V nel 1536. Nel 1564 è al servizio di Pio IV e dal 1566 è ufficialmente “cuoco secreto di Papa Pio V”, ossia cuoco personale, carica ambitissima nella Roma pontificia, ed è così che si firma nel suo famoso ricettario, Opera, stampata a Venezia nel 1570.
Il ricettario si è presto diffuso anche al di fuori dei palazzi papali; infatti Scappi stesso spiega che “essendone così richiesto da persone amorevoli, e giudiciose, le quali giudicandola (la presente fatica) dover essere utile a molti, l’han voluto all’uso commune presentare”.
Forse il vero motivo che lo ha spinto a pubblicare le sue ricette è la volontà di uscire dall’anonimato, data la fatica necessaria per raggiungere quest’alta carica partendo da origini piuttosto umili.
Non a caso il suo libro è corredato da un ritratto personale con tanto di stemma (un calice e un levriero tenuto al guinzaglio).
L’opera, oltre mille preparazioni, con un’appendice straordinaria di 27 tavole, una vera enciclopedia illustrata della cucina rinascimentale, ebbe un grande successo e venne ristampata regolarmente fino al 1643.
Dopo la pubblicazione del ricettario, la carriera di Scappi continuò a progredire: divenne mazziere pontificio (colui che aveva il compito di seguire e assistere il papa), cavaliere del Giglio, un ordine istituito da papa Paolo III e infine Comes Palatinus Lateranensis (Conte palatino lateranense), nomina che in realtà non dava alcuna facoltà di esser chiamato conte ma solo cavaliere, e che è indicata anche in una lapide a ricordo del cuoco all’interno della chiesa di S. Giorgio a Dumenza.
Morì il 13 aprile 1577, il giorno dopo fu sepolto nella chiesa dei SS. Vincenzo e Anastasio alla Regola, sede della Compagnia dei Cuochi e Pasticcieri di Roma della quale faceva parte, fondata a inizi del ‘500, una sorta di primitiva FIC (Federazione Italiana cuochi).
OPERA
Scappi non fu certo il primo a scrivere un ricettario, e nemmeno il primo cuoco di un pontefice a lasciare traccia del suo percorso professionale. Il De honesta voluptate et valetudine di Platina anticipa Scappi nel delineare le qualità che deve possedere un cuoco, per cui l’Opera non è particolarmente innovativa in questo aspetto.
Spesso questa viene esaltata perché sono numerosi i riferimenti territoriali dei prodotti impiegati, corredati da confronti tra diverse qualità o in base al periodo stagionale; ciò è testimoniato dai numerosi riferimenti alle tradizioni, come quella dei pescatori di Chioggia che secondo Scappi conoscevano il miglior modo per cuocere il rombo in potaggio o i numerosi riferimenti a ricette umili, come minestre di cavoli cappucci o di erbette di campagna, molto diffuse nel basso ceto.
Lo dice lui stesso scrivendo di aver dedicato il suo ricettario alle “liste delle cose che si possono servire di mese in mese, le quali generalmente s’usano in Italia et massime nella città di Roma.
” Perché Roma? Perché assieme a Milano, Napoli e Venezia rappresenta l’eccellenza italiana della cucina e della gastronomia.
L’Opera è considerata un unicum nella trattazione rinascimentale, nonché il simbolo della cucina del periodo. Innanzitutto, è la più completa fra tutte le edizioni di arte culinaria del Cinquecento: è composta da sei libri, 804 capitoli, un migliaio di preparazioni culinarie suddivise per tipologia di alimento e, come si diceva, 27 tavole illustrate, uniche nel loro genere, che ci permettono di capire nel dettaglio come fosse fatta una cucina di corte rinascimentale e quali attrezzature venissero impiegate.
Le ricette sono particolarmente dettagliate e precise, dando indicazioni sulla scelta degli ingredienti e soprattutto descrizioni delle tecniche di cottura
Questo aspetto rende l’Opera particolarmente efficace nell’offrire al lettore un quadro gastronomico completo, frutto dell’esperienza diretta dell’autore.
L’opera include numerose ricette di pasta, pasta ripiena, torte, compresa quella aperta che è “da napoletani detta pizza”, e altre preparazioni a base di pasta sfoglia e pasta frolla; il ricettario anticipa molte caratteristiche di quella che diventerà la cucina italiana moderna.
GLI INGREDIENTI
Per quanto riguarda gli ingredienti impiegati, il trattato di Scappi segna, per esempio, una svolta importante nei confronti del pesce.
Quasi un secolo prima, Platina incolpava i pesci di mare di essere poco sani, a causa della loro umidità e viscosità in grado di generare sangue freddo e flemmatico. Scappi invece dedica un intero libro e ben 217 ricette al pesce nell’Opera, segno di una totale rivalutazione di questo alimento.
Ed è straordinaria la sua conoscenza! Sulle trote scrive: “quelle di Sora e d’Arpino sono buone, ma tirano al color nero, quelle che si pigliano nel Tesino e nel Tevere son bianche, ma perfettissime, quelle che si pigliano nel lago Maggiore e di Como sono grossissime” e così anche per i gamberi quando cita quelli del fiume “Silo che passa per Trevigi”.
E poi ci istruisce sui mercati, sugli usi gastronomici… una sorta di esaustiva lista di prodotti “a denominazione di origine”, che comprende la carne, i prodotti della salumeria, i formaggi, la frutta, i prodotti da forno
Per gli animali da allevamento sono segnalati il manzo milanese o “bove lombardo”, le vitelle trentine, e le romanesche, le “pollanche romanesche” - polli - i piccioni di Terni, ma anche le cicogne selvatiche “delle quali io ho vedute molte tra le valli di Comacchio e il Po”.
Per quanto riguarda i formaggi, oltre al parmigiano (da grattare o da servire in “fettuccie”,) al “cascio di riviera”, ai raviggioli o marzolini toscani raccomanda il “romagnolo”, (prodotto in forma di “limoncelli”) e il “romanesco”; tra i freschi cita le “mozzarelle romanesche”, i caciocavalli napoletani e le “provature” del Sud.
Altrettanto interessante è la presenza tutta nuova delle verdure, considerate in passato cibo adatto agli umili e indegno della tavola aristocratica
Nell’Opera invece appaiono numerose verdure in torte, minestre, paste, in molteplici formati, salse, fritti e pasticci, oltre che in contorni leggeri più vicini all’impiego odierno delle verdure.
Ne viene fuori una cucina delle grandi città italiane, che esclude però il Piemonte sabaudo, una cucina italiana che respira la campagna, il territorio, il mercato.
Grazie Bartolomeo e che qualche ghiottone culinario che pontifica in tivvù ti legga...
I BANCHETTI DI BARTOLOMEO SCAPPI
I magnifici banchetti di Bartolomeo Scappi vengono preparati attraverso una concezione architettonica dell’arte della cucina: il cuoco è infatti un giudizioso architetto, il quale, dopo il suo giusto disegno, stabilisce un forte fondamento e, sopra quello, dona al mondo utili e maravigliosi edifizii.
Sontuosità, stupore, potere: ma anche gioia di godere dell’abbondanza con occhi golosi e gustare i cibi senza le rampogne di petulanti dietologi.
Segno di una civiltà del convito oggi irrimediabilmente perduta.
Danilo Gasparini
Docente di Storia dell'Agricoltura e dell'Alimentazione