I cibi affumicati esistono fin dall’antichità.
L’affumicatura è un metodo di conservazione degli alimenti molto antico: si stima sia stata scoperto circa 90.000 anni fa, come naturale evoluzione del più antico metodo di essiccazione: si pensa, infatti, che i cibi appesi a essiccare nelle caverne siano stati involontariamente affumicati dal fuoco che l’uomo accendeva per riscaldarsi. Si tratta inoltre di una tecnica di conservazione world-wide: è stata ed è tuttora utilizzata a tutte le latitudini per prolungare la durata di alcuni cibi.
Il pesce è tradizionalmente uno dei prodotti che più frequentemente viene affumicato nel mondo, sicuramente il più conosciuto è il salmone. In Italia forse il più noto è l’aringa affumicata, un piatto antico che permetteva ai nostri nonni di superare gli inverni, integrando diete povere di proteine. Parlando di prodotti ittici affumicati non dimentichiamo anche tonno, pesce spada, sgombro, marlin e cefalo, forse meno presenti nella tradizione locale, ma che sono sempre più diffusi.
Oltre al pesce anche le carni - speck, pancette, wurstel - e i formaggi - ricotta, provola, scamorza - sono alimenti che tradizionalmente nel nostro Paese vengono affumicati.
L’affumicatura come metodo di conservazione
L’affumicatura è una tecnica di conservazione basata sulla formazione di sostanze ad azione antibatterica ed antiossidante che si sviluppano durante l’incompleta combustione di legno e piante aromatiche. Inoltre, in passato, la temperatura raggiunta durante il processo di affumicamento era sufficientemente alta da ridurre significativamente la carica batterica superficiale. La conservazione era quindi il risultato di due azioni che si innescavano con il processo di affumicamento: fisica, legata al calore e alla disidratazione; chimica, grazie allo sviluppo di sostanze come formaldeide, composti fenolici e acidi alifatici.
Nel fumo di legna sono stati identificati più di 200 composti chimici, tra cui gli IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici), in particolare benz(o)apirene e
benzo(a)ntracene, che devono essere tenuti sotto controllo perchè ritenuti cancerogeni.
La presenza di queste sostanze nei prodotti affumicati dipende da vari fattori, quali:
- la quantità di ossigeno della camera di affumicamento: più l’ambiente è aerato, minore la formazione di idrocarburi;
- il contatto diretto tra fumo e prodotto da trattare;
- la temperatura di produzione del fumo: temperature elevate favoriscono la formazione di composti cancerogeni.
Da oltre 10 anni l’Europa ha fissato i limiti massimi di IPA che possono essere rilevati negli alimenti affumicati per poter garantire al consumatore un prodotto sicuro. Nel 2014 i limiti sono stati più che dimezzati passando da 5 a 2 Μg/kg per il Benzo(a)pirene e da 30 a 12 Μg/kg per la somma di benzo(a)pirene, benzo(a)antracene, benzo(b)fluorantene e crisene.
Le principali tecniche di affumicatura
La tecnica tradizionale prevede l’utilizzo di affumicatoi, sottoponendo il prodotto a periodi più o meno lunghi di esposizione al fumo prodotto in appositi bruciatori a partire da miscele di trucioli di legna e spezie, con tre diverse modalità:
- Affumicamento a freddo: l’alimento viene riscaldato a una temperatura compresa tra i 20 e i 25 °C, con un’umidità relativa del 70%; viene utilizzato per alimenti semigrassi e il trattamento può durare anche diversi giorni
- Affumicamento semicaldo: l’alimento viene riscaldato a una temperatura compresa tra i 25 e i 45 °C, con un’umidità relativa del 75%; viene utilizzato per prodotti come bacon, lardo, pancetta
- Affumicamento a caldo: l’alimento viene riscaldato a una temperatura compresa tra i 50 e i 90° C per un breve arco di tempo, generalmente poche ore; viene utilizzato per prodotti di pronto consumo.
Generalmente vengono utilizzati trucioli di essenze come quercia, castagno, noce, acacia, faggio, abbinati in alcuni casi a piante aromatiche come timo, alloro, maggiorana e rosmarino, con la finalità di migliorare i tratti organolettici dell’alimento affumicato.
Oggigiorno nei paesi industrializzati, l’affumicatura è considerata essenzialmente una tecnica di aromatizzazione degli alimenti ed è abbinata a uno o più sistemi di conservazione (confezionamento sottovuoto o utilizzo di conservanti); questo aspetto ha portato l’industria alimentare a utilizzare un aroma per conferire un sapore di affumicato chiamato “fumo liquido”, abbinato spesso all’utilizzo di conservanti per prolungare la conservazione del prodotto stesso.
Il fumo liquido è l’estratto liquido delle componenti aromatiche del fumo prodotto naturalmente, nasce negli USA alla fine del 1980 dove oggi è utilizzato nella produzione di circa l’80% degli alimenti affumicati. I prodotti trattati possono essere immersi nel liquido oppure è il liquido stesso che viene nebulizzato o iniettato nell’impasto.
Come distinguere un prodotto affumicato in modo tradizionale da uno aromatizzato con il fumo liquido?
Le diciture che vengono riportate in etichetta sono differenti, nel primo caso viene riportata la descrizione “prodotto affumicato” nel secondo invece nell’elenco degli ingredienti compare la dicitura “aroma di fumo” oppure “aroma di affumicatura”. Ancora una volta quindi diventa importante la lettura dell’etichetta.
Giorgia Barbaresco